5. Xuefeng faceva il tenzo nel [monastero di cui era abate] Dongshan [1]. Un giorno, mentre vagliava il riso, Dongshan gli chiede: “Fai la cernita della renella e scarti il riso o secerni il riso e scarti la renella?”
Feng dice: “Scarto rena e riso insieme”. Dongshan dice: “I monaci allora cosa mangiano?”
Feng rovescia il contenitore. Shan dice: “Tu, più avanti incontrerai una persona diversa e resterai con lei”.
Anticamente le persone elevate che hanno incarnato la Via, usando al massimo l’abilità delle proprie mani, proprio così l’hanno messa in pratica.
Noi, ultimi venuti della nuova generazione, saremo forse pigri? Dice un antico: “Per il tenzo rimboccarsi le maniche è il cuore della Via”.[2]
Se vuoi evitare sbagli nella cernita di riso e sabbia, esaminalo tu stesso di persona.
Nel Quinggui è detto: “Quando prepari il cibo devi assolutamente controllare ed esaminare di persona da vicino, che sia naturalmente integro e puro”.
Raccogli l’acqua bianca di questa pulitura del riso, e non buttarla via vanamente. Anticamente si raccoglieva in una sacca filtro.[3] Preparato il riso per la purea e l’acqua, una volta messo nella pentola, mantenendo lo spirito in atteggiamento protettivo, evita che qualche topo o insetto accidentalmente non la tocchi, e che non venga a guardare e a metterci le mani qualche sfaccendato di passaggio.
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.Forzani. Scarica il testo con le note)
[1] Xuefeng Yicun (jap. Seppō Gizon 822-908) Rinomato maestro dell’epoca Tang (618-907), da suoi discepoli originano le scuole Ch’an Yunmen (jap. Unmon) e Fayan (jap. Hōgan) che confluiranno poi nel periodo Song nella scuola Linji (jap. Rinzai).
Dongshan Liangjie (jap. Tōzan Ryōkai) 807-869 considerato fondatore della scuola Ch’an Caodong
(Sōtō Zen in giapponese). A lui viene attribuito baojing sanmei ge (jap. hōkyō zanmai ka) Canto del samadhi del prezioso specchio, e i suoi numerosi detti e dialoghi sono raccolti nel Dongshan yulu (jap. Tōzan goroku)
[2] Non è chiaro da dove provenga questa citazione e il suo senso non è univoco. Può anche significare: “Il tenzo quando si carica del suo giogo, subito è nel cuore della Via”.
[3] Filtrando in una sacca a rete l’acqua usata per lavare il riso si evita che anche un singolo chicco possa andare perduto.
5. Seppo faceva il cuoco nel monastero in cui era abate Tozan[1]. Una volta, mentre stava facendo la cernita e la lavatura del riso, Tozan gli domandò: «Secerni la rena e scarti il riso o secernii il riso e scarti la rena?». Seppo rispose: «Scarto contemporaneamente rena e riso». Disse Tozan: «I nostri monaci allora che mangeranno?». Seppo rovesciò il vassoio del riso. Tozan gli disse: «Un giorno andrai altrove e un altro ti guiderà».
Gli uomini insigni della Via sublime e antica hanno praticato così, facendo le cose di persona, con le proprie mani. Saremo noi il tramonto di tanto passato con la nostra indolenza? Gli antichi dicono che nel momento in cui si lega (le maniche) il cuoco mette in azione il cuore della via.
Per esempio, per evitare che nel riso per sbaglio rimanga la rena, lo controlla attentamente con le sue mani. Nello Shinghi è scritto: «Quando prepari i cibi, esamina tu da vicino in prima persona senza lasciare in ombra nessun aspetto: così tutto sarà vitale e puro».
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)
[1] Seppo Ghizon (Hsueh feng I tsai) 822-908. Dopo aver seguito l’insegnamento di Tozan Ryokai, divenne discepolo di Tokusan Senkan. É considerato uno dei maggiori maestri della tradizione Rinzai dello Zen, e il suo modo di operare come tenzo è tenuto in tale considerazione che, nei monasteri Zen Rinzai contemporanei, la costruzione dove ha sede la cucina si chiama Seppo. Tozan Ryokai (Tung san Liang chieh) 807-869. Da lui e dal suo discepolo Sozan Honjaku (Tsao shan Pen chi – 840-901) ha preso nome la tradizione Soto dello Zen, che in Giappone ha avuto in Doghen il suo maggiore rappresentante.
5 (e 4). La cucina è metafora della vita e contemporaneamente luogo di lavoro e di pratica concreti. I due aspetti, metafora e concretezza, sono espressioni di una realtà unica, ma sono distinti. Non si devono separare ma neppure confondere.
Nel momento in cui si devono distinguere il bene e il male, ciò che è adatto e ciò che è inadatto, i chicchi di riso e i sassolini, è inutile considerare che bene e male sono l’uno relativo all’altro, o che possiamo dire bene perché sappiamo che cos’è male, o che parliamo di risveglio perché abbiamo coscienza di illusione.
Se ora dobbiamo fare la cernita e scartare ciò che va scartato, questo atto contiene in sé tutta la realtà, anche l’aspetto che al momento è in ombra, quello per cui in una visione globale non c’è nulla da scartare né nulla da conservare.
I due occhi devono avere un solo punto focale per una visione limpida: se osserviamo la realtà da due punti di vista contemporaneamente, la vista si fa annebbiata e confusa. Per tornare a vedere con chiarezza dovremo scacciare entrambe le visioni e azzerare la nostra osservazione, fregandoci gli occhi. Ciò equivale a buttare via tutto e ricominciare da zero: operazione dolorosa, che la vita spesso ci impone, da cui poi rinascono nuove realtà e nuovi rapporti.
Così sono da sempre e ovunque le persone autentiche della via, i nostri predecessori, che hanno riversato tutto di se stessi nel loro lavoro, sapendo che ogni aspetto nell’universo è come tutto l’universo. Noi dobbiamo essere alla loro altezza, per non far tramontare questa Via della vitalità universale.
Gli antichi ci insegnano che non dobbiamo distinguere il cuore dalle mani: quando, rimboccandoci le maniche, usiamo le mani per lavorare, in quell’atto stesso è presente e agisce il nostro cuore: quando operiamo ogni singolo atto del cammino, in quel momento è presente tutto il cuore del cammino.
Per esempio, se bisogna controllare che il riso sia pulito e commestibile, il tenzo fa lui stesso questa cernita, e così facendo è tenzo. La regola dice: «Fa’ tu la preparazione di persona, in ogni aspetto: solo così la tua vitalità si trasmetterà al cibo e agli altri, solo così la purezza della tua intenzione si trasmetterà al tuo lavoro e a chi ne fruisce».
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)
1 Introduzione a “La cucina scuola della Via
1A Tenzo Kyokun: riveriti monaci dello spirito del risveglio
2 Tenzo Kyokun: mettere in circolazione lo spirito del risveglio
3 Tenzo Kyokun: “Proteggi i beni della comunità, sono le pupille degli occhi”
4 Tenzo Kyokun: “Pur vedendo un aspetto ne perda di vista un altro”
A me rimanda al senso di responsabilità. Non intesa come necessità di espletare doveri, ma responsabilità nel rispettare la propria natura e interiorità.
“Non dobbiamo distinguere il cuore dalle mani”.
Questo passaggio particolarmente significativo ci ricorda l’importanza fondamentale della “coerenza esistenziale” se ho compreso, se ho capito allora sarò capace di manifestare nel divenire quella stessa comprensione.
L’intenzione si fa per sua natura manifestazione nei corpi transitori. Non è possibile nascondersi.
“Per il tenzo rimboccarsi le maniche è il cuore della via”.
La frase mi sembra di poterla tradurre così : quando fai qualcosa con la giusta disposizione (attenzione, consapevolezza, non identificazione), in quel modo compì una azione e sacra, che viene dal sentire, e stai vivendo la Via.
Il dialogo invece tra Seppo e l’abate del monastero mi sembra di difficile comprensione anche dopo la spiegazione di j. Forzani.
Se il tenzo veniva scelto tra le persone più addentro nella via e seppi divenne anche il fondatore di una scuola zen, cosa ci sta dietro il buttar via sia rena che riso?
Mia nonna diceva: mettici tutta te stessa quando fai una cosa.
Non capivo, o meglio mi arrivava solo in parte. Mi arrivava la parte legata al dovere, alla serietà, all’impegno e anche al giudizio, al premio.
Oggi sento che c’è molto di più.
C’è ampiezza, gratuità e dono di sè.
Proteggi tu stesso la tua vita e il tuo cammino interiore solo così sarai certo che nessuno potrà offuscare la strada che è davanti a te…