Tenzo Kyokun: senza curarti di infimo o eccellente [6 e 7]

6. Dopo aver preparato la pietanza di verdure per la colazione, [1] [il tenzo] raduna ciò che serve per la preparazione del riso, della minestra di verdura e di tutto il resto del pranzo del giorno. Lava vassoi, vaschette, utensili e attrezzi, purificandoli con energia e dedizione.

Ciascuno dei vari oggetti, mettilo in alto se è a posto in alto, mettilo in basso se è a posto in basso. Un luogo alto è a livello in alto, un luogo basso è a livello in basso;[2] pinze e mestoli e simili, e tutti gli utensili scelti usali con lo stesso atteggiamento, con cuore sincero esamina, prendi e riponi con delicatezza.

Dopodiché, prepara gli ingredienti per il pranzo dell’indomani. Prima di tutto controlla se vi sono insetti nel riso, scarta [eventuali pezzetti di] fagioli verdi, la pula, i sassolini fino all’ultimo.
Quando esamini il riso, quando esamini le verdure, l’assistente recita l’invocazione e la dedica al kami dei fornelli. [3]

Quindi scegli le verdure per la zuppa e prepara gli ingredienti. Non discutere sulla quantità, poco o tanto che sia, degli ingredienti ricevuti secondo le disposizioni del kusu. Senza curarti di infimo o eccellente, solo mettiti all’opera con energia e diligenza.

Con impegno trattieniti dall’esprimere sul volto e disquisire a parole sulla poca o tanta quantità degli ingredienti. Il giorno finisce, passa la notte, le cose vengono a stare nel cuore, il cuore ritorna a stare nelle cose, uno con tutto l’altro pratica la via con energia e impegno.
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.ForzaniScarica il testo con le note)

[1] Il primo dei due pasti quotidiani, che noi chiamiamo “colazione”, consisteva nella già descritta purea di riso bollito e in un contorno di verdure cotte. Tale è tutt’ora la consuetudine in molti monasteri giapponesi.

[3] kamado – fornello a legna costruito in refrattario, mattoni o pietra, con apertura circolare superiore, in cui si inserisce la pentola della misura corrispondente e sportello laterale per la legna da ardere. Un unico piano cottura può essere formato da una serie di kamado di diverse dimensioni, dunque con vari fuochi che possono essere in funzione contemporaneamente. L’accensione, il controllo, la cura dei fuochi è un’attività di prima importanza fra le funzioni degli addetti alla cucina. Nel mettere la cucina sotto la protezione di una divinità, Zaogong Zhenxing (jap. Sōkō Shinsai) Dōgen si rifa’ a un antico culto popolare cinese. “Il culto di Sōkō Shinsai è un’antica pratica in Cina, risalente al secondo secolo a.C. Sōkō Shinsai, a volte chiamata il dio della cucina, è una divinità popolare e importante per i cinesi, in quanto associata alla longevità personale e al fuoco della cucina, potente simbolo di unità famigliare. Siede al di sopra del cuore [per cui è detto anche il dio del cuore] durante il corso dell’anno e osserva parole e azioni dei membri della famiglia. Una volta all’anno visita il cielo per riferire i comportamenti dei membri della famiglia, determinando così la durata della vita di ciascuno di essi”. (Helen Josephine Baroni – The Illustrated Encyclopaedia of Zen Buddhism – The Rosen Publishing Group, New York 2002, pag.322)

7.  Prima di mezzanotte[1] controlla le cose dell’alba dell’indomani, dopo la mezzanotte controlla ciò che riguarda la preparazione della colazione. Al termine della colazione di quel giorno, lava la pentola, cuoci a vapore il riso, prepara la minestra.

Se lavi il riso per il pranzo, cuciniere, non ti allontanare dal lavello dell’acqua, osserva da vicino con i tuoi propri occhi, non lasciare vada sprecato un solo chicco. Lava e seleziona secondo la norma, metti nella pentola, accendi il fuoco, cuoci il riso.

Si dice fin dai tempi antichi: “Sappiate che quando si cuoce il riso, la testa (il coperchio) della pentola è come la propria testa, quando si lava il riso, l’acqua è la linfa vitale del corpo”.

Finito di cuocere il riso lo depone in un contenitore dal fondo di bambù (in estate), oppure lo depone in un contenitore dal fondo di legno (in inverno), e poi lo mette sull’apposita tavola.

La preparazione delle verdure, della minestra e di tutto il resto deve senza dubbio avvenire nel contempo della cottura del riso.
Il tenzo controlla di persona la zona in cui si preparano il riso e la minestra e appronta gli utensili, sia che si serva di un assistente, o di un inserviente, o dell’addetto ai fuochi. Di recente, nei grandi templi c’è un responsabile del riso e un responsabile della minestra.
Ma questo è pur sempre campo d’azione del tenzo. Un tempo non vi erano responsabili del riso e della minestra o simili, ma un solo, il tenzo
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.Forzani. Scarica il testo con le note)

[1] sankō izenprima del terzo kō: secondo una divisione della notte in quattro parti di due ore l’una, denominate , fra le otto di sera e le quattro di mattina, il terzo inizia più o meno a mezzanotte.


6.   Ricevuti gli ingredienti secondo le disposizioni del kusu, non discute la quantità, poca o tanta; non critica la qualità, rozza o delicata. Semplicemente non fa altro che scegliere e preparare con cura sincera. Davvero è un atteggiamento detestabile quello di discorrere sul tanto e sul poco. Il giorno finisce, passa la notte: le cose vengono nel cuore; il cuore ritorna nelle cose. É il cammino religioso di praticare assiduamente l’unità con ciò che è altro da me.

Attorno la mezzanotte si occupa dei preparativi per la mattina presto; nel cuore della notte si dedica alla bollitura della zuppa di riso. Finito il pasto del giorno, lava la pentola, fa bollire il riso a vapore e prepara la minestra.

Quando il riso è messo a bagno, il tenzo non si distrae e non si allontana dal lavello dell’acqua: deve controllare attentamente di persona che non vada perso un solo chicco. Come fossero gesti religiosi, seleziona, mette nella pentola, accende il fuoco, cuoce il riso. Dice un antico: «Quando fai cuocere il riso, sappi che il coperchio della pentola che lo cuoce è la tua testa, l’acqua che lo lava è la linfa del tuo corpo».

Quando il riso è cotto, riponilo in un recipiente dal fondo di bambù [in estate], in un vasca di legno [in inverno] che metterai su di una tavola elevata. La preparazione della zuppa di verdure e di ogni altro piatto deve senz’altro avvenire contemporaneamente alla cottura del riso.

Il tenzo deve controllare da vicino il luogo dove si preparano il riso e la zuppa. Sia che impieghi un assistente, o che usufruisca di un inserviente o che si serva dell’addetto ai fuochi, deve insegnare loro come mettere a posto gli utensili.
Oggigiorno nei grandi templi c’è un responsabile del riso e uno della zuppa. Però in realtà tutto questo è il compito del tenzo. Anticamente non esistevano due responsabili per il riso e per la zuppa; c’era un solo responsabile: il tenzo.
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)


 6.   Il materiale che abbiamo a disposizione è tutto ciò che c’è: non ha alcun senso lamentarsi per la sua qualità e quantità. Qualsiasi cosa noi incontriamo è un elemento costitutivo della nostra vita, che ci piaccia o no. La nostra opera non consiste nell’evitare ciò che non ci piace alla ricerca di ciò che ci piace: questa è una perdita di tempo.

Il tempo, invece, dobbiamo usarlo appieno, perché è la nostra vita stessa e trascorre in fretta: il giorno passa, trascorre veloce la notte. Le cose vengono a me, penetrano nel mio cuore e lo plasmano; io mi rivolgo alle cose con il mio cuore e agisco su di esse: questo movimento è incessante come l’andare e venire delle onde del mare, e non conosce ostacolo.
Bisogna che non sia io a frapporre ostacolo, a fare da filtro fra me e le cose. Questo è il cammino religioso: vivere sapendo che non c’è separazione, non c’è frattura fra io e altro.

La pratica della Via è come la vita, continua anche di notte. Se ci sono lavori che vanno fatti nel cuore della notte, quello è il momento di farli. Non si tratta di ammazzarsi di lavoro, ma di comprendere che siamo sempre in servizio. I gesti che il tenzo compie sono gesti religiosi, non meno importanti di quelli di chi officia un rito.

É bene ripeterlo: guai a intendere che la pratica religiosa è confinata a momenti speciali o ad attività speciali, come i riti, le meditazioni, le celebrazioni. Il lavoro quotidiano è il principale campo della pratica, il luogo in cui si svolge è il tempio principale della pratica.
Gli strumenti usati sono gli strumenti principali della pratica.

Dice un antico: «Se sei il tenzo, devi sapere che cuocere il riso è come fare zazen e fare zazen è come cuocere il riso: il coperchio della pentola è come la tua testa, devi fare attenzione alla valvola della pressione che deve restare libera, così come devi lasciare aperta la valvola che fa svaporare i tuoi pensieri. L’acqua con cui risciacqui il riso e lo rendi puro e commestibile, è come la tua vitalità stessa, che puoi usare per lavare la tua vita e renderla pura».  

Bisogna che tutto sia preparato contemporaneamente perché tutto deve arrivare caldo in tavola, fresco di cottura, e anche perché, lavorando insieme sui vari piatti, si riesce a equilibrare l’armonia dell’insieme. Anche se ci sono degli aiutanti, il responsabile è uno solo: il tenzo.
Non si deve scaricare la responsabilità sugli assistenti: piuttosto si deve insegnare loro a fare le cose per bene, iniziando dal mettere a posto gli utensili.
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)  


Introduzione a “La cucina scuola della Via
1A Tenzo Kyokun: riveriti monaci dello spirito del risveglio
Tenzo Kyokun: mettere in circolazione lo spirito del risveglio
Tenzo Kyokun: “Proteggi i beni della comunità, sono le pupille degli occhi”
4 Tenzo Kyokun: “Pur vedendo un aspetto ne perda di vista un altro”
5 Tenzo Kyokun: rimboccarsi le maniche e proteggere, il cuore della Via

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8 commenti su “Tenzo Kyokun: senza curarti di infimo o eccellente [6 e 7]”

  1. Questo passaggio mi colpisce particolarmente:
    “purificandoli con energia e dedizione”.

    La scoperta del sacro attraverso il giusto atteggiamento capace di purificare

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  2. ” Il lavoro quotidiano è il principale campo della pratica, il luogo in cui si svolge è il tempio principale della pratica”.

    Quella ora di pratica al giorno ci qualifica come “monaci”?.

    Assolutamente no. L’intenzione cristallina che ci guida nella nostra giornata lo determina.

    Ogni scesa chiede dentizione, abbandono della mia centralità, servizio, umiltà, mettersi a disposizione, lasciarsi condurre dalla vita.
    La pratica è solo una declinazione di questo atteggiamento meditativo feriale.

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  3. Mi richiama, non so spiegarmi fino in fondo il perché ma deve esserci un nesso profondo, il San Paolo che dice qualcosa del tipo: se anche dessi il mio corpo alle fiamme ma non avessi la carità a nulla mi giova.
    Che quel concetto di “carità” evangelica sia accostabile all’atteggiamento del tenzo, mi interroga.
    Grazie.

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  4. Discutere, dire, aggiungere sempre la parola in più per affermare noi stessi.
    Come è facile scivolare su questa modalità.
    Non perdere occasione per cercare l’affermazione di noi stessi, per sentirci confermati (a livello identitario).
    Quante volte questo è successo tra di noi…i ceci, il brodo, i piselli blablabla…
    E amorevolmente lo abbiamo guardato e visto e (spero anche) accolto.

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  5. Anche se le due traduzioni di Forzani non sono identiche, quello che si evince è che per chi compie un lavoro, in questo caso il tenzo, ogni momento, ogni gesto, ogni ingrediente( tanto o poco che sia) è importante e va fatto con cura.
    Si ccome non c’è separazione tra vita e pratica religiosa, la cucina è un tempio ed ogni gesto, sacro

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