Il commento di Elena a Tenzo Kyokun: il discernimento continuo [10]
“La comunità è un organismo unico che deve funzionare insieme”.
“Dobbiamo riversare tutte le nostre facoltà intellettuali e fisiche in ciò che facciamo.”
Mi domando la funzione e il valore del verbo “dovere”. Perché il verbo dovere?
Le espressioni che colpiscono Elena sono di Jiso Forzani, il traduttore del Tenzo, oltre che monaco dello Zen.
Il monaco non può che aver superato la barriera del dovere: quello che per altri è dovere, per lui è libera adesione a una disposizione interiore che ha scelto, e l’ha scelta una volta per tutte.
Molte cose non si possono scegliere una volta per tutte ma alcune sì, quelle che riguardano l’obbedienza di fondo al disegno della propria esistenza.
L’uso del verbo dovere in un monaco ha un respiro sconosciuto in altri: il dovere è un problema per la gente del mondo, per un monaco è una disposizione, una dinamica, un processo intimo e fecondo che svela la motivazione e la radicalità della sua adesione al disegno dell’Essere che è e diviene.
Io non debbo aderire al disegno, al disegno sono interno, il disegno è ‘me’: eppure, nella relatività della mia umanità, vedo come il disegno avanza, come assorbe le molte aree e sfumature di questa consapevolezza che chiamo con il mio nome, e assecondo il suo espandersi, il suo invadere, il suo colorare del suo colore ogni illusorio ‘mio’ colore.
Questo ‘facilitare’ che metto in atto è qualcosa che faccio e che sento di dover fare: non ha la mia vita altro scopo che il dover facilitare il compiersi del disegno.
Potrei dire, in alternativa: non ha la mia vita altro scopo che il facilitare il compiersi del disegno.
Ma il facilitare implica un atto di volontà, quel ‘dover’ non è altro che un rafforzativo del verbo facilitare, il ‘dover facilitare’ sta a significare che metterò consapevolmente ogni forza a mia disposizione nella facilitazione, riverserò ogni energia in quella esperienza perché sono consapevole che quella è l’esperienza primaria e fondamentale.
Da questa consapevolezza della assoluta priorità di servire il disegno, l’Essere che è e che si manifesta, nasce la mia dedizione totale, il senso del mio dovere ultimo e determinante.
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Grazie!
Credo di comprendere…
Quei dover indica un profondo “ascolto”, un porgere e tendere l’orecchio, che producono un libero fluire.
Quando operano resistenze più o meno accentuate a quel devo, credo ci siano resistenze dell’identita’ ad affidarsi.
Osservandomi ho modo di vedere le volte che accade, come posso vedere quanto tutto scorre fluido.
Anche qui il paradosso: un dovere che dovere non è.
I termini usati nello Zen non sono sempre comprensibili di primo acchito.
Grazie per la tua traduzione!
Chiarissimo.