Tenzo Kyokun: comprendere la natura della pratica della Via [12.3]

Lo stesso anno, durante il mese di luglio, ero registrato come residente[1] nel monastero Tiantong. Un giorno arriva quel tenzo e incontratolo dice: “Alla fine del periodo estivo, lasciato l’incarico di tenzo, ritorno al mio villaggio. Ho sentito dire casualmente da un confratello che tu eri qui. Come potevo non venire a incontrarti?”

Ho sobbalzato di gioia per l’emozione, e dopo averlo ricevuto e terminati i convenevoli, venimmo a parlare delle cause e connessioni dei caratteri e della pratica della via, di cui (avevamo parlato) la volta precedente sulla nave.

Il tenzo dice: “Chi apprende i caratteri (le parole e le scritture) deve sapere la ragion d’essere dei caratteri, per chi s’impegna nella pratica della via il punto centrale è consentire con la ragione (comprendere la natura, ndr) della pratica della via.

Allora gli chiedo: “Che cosa sono i caratteri?” Il tenzo risponde: “Uno, due, tre, quattro, cinque”.
Di nuovo domando: “Che cosa è la pratica della via?”.
Il tenzo dice: “In ogni dove mai nascosta”[2].

Inoltre abbiamo parlato di tante cose, che però ora non riporto. Se qualcosa so dei caratteri e comprendo della pratica della via, è davvero per la grande benevolenza di quel tenzo. Ho riferito tutto questo al mio defunto maestro Myōzen, e lui ne ha gioito grandemente.
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.ForzaniScarica il testo con le note)

[2] henkai katte kakuzō l’intero universo mai celato


12. Quello stesso anno, a luglio, risiedevo come membro interno nel monastero Tian tong. Un giorno venne quel tenzo e quando ci incontrammo mi disse: “Alla fine del ritiro estivo smetto le funzioni di tenzo e ritorno al mio villaggio natio. Ho udito per caso un mio confratello anziano dire che tu eri in questo monastero: perché non venire a vederti?”.

Io ero molto emozionato e gongolavo dalla gioia. Lo feci accomodare e poi iniziammo a parlare riprendendo il discorso di quando ci eravamo incontrati sulla nave circa la relazione fondamentale tra la pratica della via e i caratteri [segni di scrittura, ideogrammi].

Il tenzo disse: La persona che studia i caratteri deve conoscere l’iter attraverso cui si sono formati; la persona che si applica alla pratica della via deve essere la carne e le ossa dell’iter della via.

Gli chiesi: “Che cosa sono questi caratteri?”.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Chiesi ancora: “Che cosa è questa pratica della via?”.
Disse: “L’immenso universo non trattiene nascosto nulla.

Oltre a questo discorso ne abbiamo affrontati molti altri, ma non è questo il luogo per riferirli. Quel poco che io so dei caratteri e che ho appreso della pratica della via è per la grande benevolenza di quel tenzo.

Ho riferito il resoconto del precedente episodio al compianto maestro Zenko[1] che ne gioì profondamente.
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)

[1]Myozen 1184-1225. Amico di Doghen e suo primo insegnante nel monastero Kenninji a Kyoto, intraprese con lui il viaggio in Cina, dove morì due anni prima del ritorno di Doghen in patria. 


12. Lo rividi dopo un paio di mesi, quando ero ormai nel monastero guidato dal mio maestro. Riprendemmo il discorso interrotto.

Mi disse: «La persona che studia le scritture, così come i detti dei maestri, deve sapere da dove sono scaturiti: nascono dall’esperienza vissuta e a essa rimandano e ritornano.
La pratica della Via è la pratica della carne e delle ossa, del corpo che è il mezzo che percorre la Via. I segni costitutivi delle scritture, i caratteri, sono scritti nella natura, nelle cose, negli incontri della vita, e solo in seguito vengono scritti nei libri».

Chiesi: «Che cosa sono allora questi caratteri?».
Rispose: «Ogni cosa che incontri nella semplicità della sua immediatezza è carattere».

Chiesi: «Che cosa significa allora pratica della Via?».
Disse: «Non c’è nulla dietro alle cose: ogni cosa, così come è, esprime la verità tutta intera: per questo non c’è che la Via, che è il modo di vivere la realtà autentica di ogni cosa».

Abbiamo anche parlato di altro, ma mi preme riconoscere che devo a quel tenzo la mia comprensione di scritture e di pratica.
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)  

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Natascia

Letto

Mariela

La vita è Via, anche se non ne siamo consapevoli. Tuttavia comprendere la Via apre orizzonti nuovi, ci porta a cogliere la realtà con uno sguardo nuovo e una mente vuota.

Lorena

«Non c’è nulla dietro alle cose: ogni cosa, così come è, esprime la verità tutta intera… ”
È la vita che vive in lui, che lo attraversa.
Fatica e Gratuità .
Esperienza e Contemplazione.

Catia Belacchi

Caratteri e pratica della Via nascono entrambi dall*esperienza di chi ci ha preceduti e dalla nostra. L’esperienza personale è la strada per scrivere i caratteri.
La pratica della Via poi ci da scoprire che ogni cosa così come è esprime la verità tutta intera”, esprime tutto l’universo.
La comprensione che si raggiunge percorrendo la Via ci dice che caratteri e vita, coincidono.

Luciana

«Non c’è nulla dietro alle cose: ogni cosa, così come è, esprime la verità tutta intera… ”
Osservare con questa visione apre a mondi inimmaginabili!

luca

i caratteri e i fatti che ci circondano sono un unica e inscindibile cosa
possiamo metterli in pratica solamente vivendoli,
fuggendo dai fatti fuggiamo da noi stessi e dalla vita .

Leonardo

Quando i caratteri fecondano la pratica e la pratica rende l’occhio penetrante nella comprensione dei caratteri, grazie a questo circolo virtuoso, si dischiude un altro e più profondo, più autentico e pervasivo livello di comprensione: Tutto è Via.

Elena

Mi parla molto.
Tutto è.
Quando le mie comprensioni sono tali da cogliere o meglio sentire il “Tutto è” allora grazie alla mia esperienza posso tradurlo, scriverlo, fermarlo in una parola o su un foglio.

Mariella

Ogni fatto che accade è autentico in se’, è perfetto e in quanto tale porta la verità di quel Che È. Le categorie mi piace/non mi piace, mi serve/e’ inutile, ecc sono fuorvianti, sono nascondigli creati dalla mente.
Possiamo dire così?
Rifuggire dai fatti che accadono è, alla fine, rifuggire dalla Via stessa?

uma

A Mariella
Le categorie mi piace/non mi piace, mi serve/è inutile, ecc sono fuorvianti, sono nascondigli creati dalla mente.
Possiamo dire così?

Su ciò che è aggiungiamo una nostra preferenza, o un nostro giudizio: questo ci impedisce di vedere, cogliere, comprendere il ciò che è.

Rifuggire dai fatti che accadono è, alla fine, rifuggire dalla Via stessa?
Via e vita coincidono: se non vedi la vita, la Via diventa solo una interpretazione, tutta interna all’illusione.

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