Le identità, per loro natura, vogliono essere riconosciute nella loro alterità: a una identità non interessa sentirsi fusa a un’altra, se non per l’esperienza in sé, per la novità e per quello che può provare. La fusione la minaccia e la annulla, di conseguenza non la brama, ma, alla lunga, la teme.
La nostra vita è una danza tra identità separate che vivono fugaci momenti di fusione per tornare prontamente alla separazione, alla alterità che sola le qualifica.
Nel sentire, l’altro da sé viene inglobato, viene sentito interno al proprio sentire, a un sentire comune, più esattamente: il confine identitario, la separazione tra corpi transitori diviene irrilevante; tu e io non solo non siamo due, ma, pur nella differenza delle sfumature, siamo uno.
Nel contesto di un simile sentire, parlare di riconoscimento, di valorizzazione, di apprezzamento dell’altro da sé è una notevole forzatura.
È come parlare di riconoscimento, di valorizzazione, di apprezzamento di sé: che senso ha?
Qual è quell’evoluto che coltiva questo verso sé? Semmai coltiva una più o meno piena dimenticanza di sé, un vasto grado di disinteresse per sé.
E come può dunque il maestro prestare grande attenzione al riconoscimento dell’altro, se non facendo un grande sforzo di alienazione, se non, nella sostanza, espungendo l’altro dalla fusione rendendolo artificialmente altro, ovvero attuando una pantomima in cui lo sente fuso a sé ma, per assecondare il gioco delle identità, lo deve considerare altro e trasmettergli apprezzamento.
È come se la quercia, che dalla stessa radice genera numerosi germogli, dovesse considerare ognuno di questi come altro da sé.
Il rapporto maestro/discepolo, quando avviene a un certo livello di sentire, supera totalmente le illusorie barriere identitarie e diviene relazione interna a un sentire unitario e comune, dinamica tra sentire, non altro: l’incontro accade al più alto livello possibile e tutti gli altri livelli divengono secondari e accessori.
Ecco perché così di frequente, da una relazione così importante e così improntata sul sentire, l’identità del discepolo si sente a volte esclusa.
Come può un insegnante scappellare l’identità di un discepolo? Comprendete l’assurdità?
Questo non poter riconoscere e celebrare ciò che è effimero, salvo sporadiche manifestazioni appaganti per l’identità, conduce spesso a crisi di non riconoscimento.
Nella via spirituale unitaria, coloro che divengono trasparenti, quasi invisibili, sono i più interni al sentire unitario, alla sua fusione. Coloro che vengono nominati e omaggiati sono i più esterni.
Chi di noi pensa al suo intestino come ad altro da sé? Qualcuno nomina con un nome proprio il cuore che gli batte nel petto? E lo ringrazia per il lavoro che fa?
Comprendete quindi come, nella relazione maestro/discepolo, si insinuino elementi caratteristici della natura delle identità, e come il loro emergere sia fattore di autenticità e di progressione nello smascheramento dei condizionamenti?
Il sorgere di gelosie, rivalità, competizioni, sensi di abbandono e di non adeguata valorizzazione, sono il pane quotidiano di simili relazioni. Sono anche il catalizzatore di processi dirompenti che distruggono intere comunità, come sono il passaggio obbligato per ogni discepolo e per ogni maestro, dove quest’ultimo, proprio perché vive il discepolo come interno al sentire, lo frustra sul piano dell’identità. Non sempre questo accade, ma quando necessario.
Sia chiaro che il maestro non opera questo intenzionalmente, è la conseguenza della relazione stessa. Vi immaginate un maestro, con un certo numero di discepoli, intento a lisciare il pelo delle loro identità, a sostenere ora questo ora quello, a essere condizionato da questa o da quella esigenza identitaria?
Ve lo immaginate a stare attento a non suscitare gelosie? A valorizzare senza fine ogni più piccolo progresso di ogni singolo discepolo? Un vero incubo per il maestro che non potrebbe più operare incastrato nelle maglie delle esigenze delle identità dei discepoli.
Direte che, però, si può trovare la misura: certo, ma la misura non si crea, sorge naturale dalla relazione a seconda di quali siano le sfide che i due, o più protagonisti, debbono affrontare.
Generalmente il maestro non è una figura intima per il discepolo, una certa lontananza e irriducibilità caratterizza la loro relazione, pur nella prossimità della cura e nella condivisione del sentire.
Questa lontananza protegge il maestro dai giochi delle identità dei discepoli: il maestro risulta ragionevolmente ‘lontano’ per tutti.
Nel Sentiero non è così, il maestro è operaio nell’officina e questo fa esplodere molte dinamiche identitarie, esattamente come deve essere nell’ottica dell’officina.
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Il rapporto maestro/discepolo, quando avviene a un certo livello di sentire, supera totalmente le illusorie barriere identitarie e diviene relazione interna a un sentire unitario e comune, dinamica tra sentire, non altro: l’incontro accade al più alto livello possibile e tutti gli altri livelli divengono secondari e accessori
Percezione vera e profonda.
E’ chiaro che il processo è quello che descrivi.
Avendo toccato in questa relazione, il livello a me più alto possibile oggi, è facile vedere le rarissime occasioni in cui l’identità si mette di traverso.
Magari fosse altrettanto semplice accorgersi del gioco, anche in altre relazioni.
Il post è rilevante e così andrebbe declinato.
Ognuno di noi fa i conti con le proprie spinte identarie, l’illusione che creano e le disillusioni che ne conseguono.
In questa danza, la neutralità del maestro è fondamentale, perché dà equilibrio e sostegno se necessario senza assecondare la pretesa dell’altro.
Quando questo è frutto di un Sentire profondo non crea lacerazione, ma educa all’Unità.
Nel rapporto tra maestro e discepolo il focus si sposta sulla relazione autentica e sulla fusione di sentire in atto.
Come bene dici le identità non possono che provare resistenza rispetto a questo processo, in quanto un’identità si definisce attraverso la distinzione dall’altro da sé.
Quello che scrivi è molto importante e va costantemente monitorato in tale rapporto, quanto più la comunione di sentire si fa intensa tanto più l’identità punterà i piedi per non scomparire.
Mi chiedo se poi una comunione che sia già diventata una fusione di sentire non conosca un ritardo sul piano dell’identità e dell’incarnazione.
A Leonardo
Mi chiedo se poi una comunione che sia già diventata una fusione di sentire non conosca un ritardo sul piano dell’identità e dell’incarnazione.
Direi che è senz’altro possibile…
“Il rapporto maestro/discepolo, quando avviene a un certo livello di sentire, supera totalmente le illusorie barriere identitarie e diviene relazione interna a un sentire unitario e comune, dinamica tra sentire, non altro: l’incontro accade al più alto livello possibile e tutti gli altri livelli divengono secondari e accessori”
A questo livello forse è possibile parlare di relazione Vera!
Non avevo mai pensato a questo aspetto che tu esponi con tanta chiarezza.
È bello sapere che il maestro ingloba nel suo sentire anche quello dei discepoli.
A noi sta riflettere e vedere la danza delle identità.
é fondamentale il proteggersi del maestro dal discepolo che lo vuole inglobare nei suoi processi mentali …
fondamentale per entrambi mantenere un distacco di protezione…
Ognuno di noi fa alla fine i conti con se stesso, con l’”umano” che è.
In quest’ottica non può che percepire l’altro come altro da se.