Inoltre, non guardate ai monaci in termini di virtù e difetti, non valutate i monaci sulla base dell’essere anziano o novizio. Noi non sappiamo dov’è il nostro stesso punto di caduta, a maggior ragione come può un altro conoscere dove è il punto di caduta di un altro[1]?
I nostri errori inducono gli errori di altri: che equivoco! Anche se fra anziani e giovani (nella pratica) ci sono differenze di forma, e c’è l’intelligente e lo stupido, la comunità religiosa dei monaci è [una comunità] di uguali.
Inoltre, [qualcosa/qualcuno] in passato non giusto ora è giusto, chi mai sa cosa è santo e cosa ordinario? Nel Chanyuan qinggui troviamo: “Fra i monaci non vi è ordinario o santo, si riuniscono provenendo dalle dieci direzioni”.
Se hai la disposizione (Jiso traduce ‘l’aspirazione’, ndr) che “non sistema tutto come giusto o sbagliato”, allora non puoi non essere nella pratica della Via che “procede davvero in direzione del risveglio insuperabile”[2].
Se hai sbagliato un passo in precedenza, inciamperai sbagliando in quello che hai davanti a te. Il midollo e le ossa degli antichi, davvero è nell’avere un uguale abile impegno.[3] Anche i discepoli del futuro che curano questo ruolo, per la prima volta [lo] ottengono, se mettono in atto lo stesso abile impegno. La regola di purezza dell’alto patriarca Baizhang[4] è forse cosa vana?
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.Forzani. Scarica il testo con le note)
[1] ji yo fuchi shi raku sho, ta sō toku shiki shi raku sho. Questa frase si presta a due letture apparentemente discordanti, a seconda di come si legge il carattere 落 raku/ochiru che significa “cadere”e che però abbinato al carattere 着 chaku/tsuku (arrivare) significa “trovare stabilità” come chi arriva a terra dopo una caduta e trova il suo punto d’appoggio. Dunque sia la traduzione qui accolta, che concorda con Foulk, sia la lettura “Se non sappiamo dove si trova la nostra stabilità come potremmo conoscere dove si trova la stabilità altrui?” assunta da Uchiyama e Leighton/Okumura, sono possibili. Tre i motivi per cui ho preferito la traduzione qui riportata: è più letterale, lega logicamente meglio con la frase successiva, e mi pare più consona all’esperienza personale di ciascuno.
Paragrafo di 14. Altrettanto, non deve guardare ai monaci in termini di meriti e demeriti, né considerarli a seconda che siano anziani o nuovi arrivati. Nessuno sa con precisione dove si trovi la propria stabilità: come pretendere di conoscere il luogo della stabilità degli altri? Il proprio difetto opera il difetto altrui: che non abbia a cadere in tale errore!
Ci sono delle differenze di forma a seconda che uno sia anziano o novizio nella pratica, però come discepoli della Via sia il saggio sia lo stupido sono eguali.
Ancora: colui che in passato fu nell’errore, ora è autentico: chi mai conosce cos’è santo e cosa profano? Nel Zennen shinghi è detto: «Per il monaco non vi è né santo né profano, frequenta ogni cosa nelle dieci direzioni».
Chi ha lo spirito che non discrimina in bene o in male le varie cose, non può non trovarsi nella via che conduce direttamente all’insuperabile realizzazione.
Se hai sbagliato il passo fatto finora, inciamperai anche in quello che stai per fare.
Le ossa e il midollo degli antichi sono proprio questo: mettere in atto il proprio ingegno. I fratelli delle generazioni seguenti che si applicheranno a questo ruolo, se nello stesso modo mettono in atto il loro ingegno, arriveranno a ottenere la perfetta norma del patriarca Hyakujo. E ciò non è qualcosa da prendere alla leggera.
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)
Paragrafo di 14. Nello stesso modo devi guardare agli esseri umani. Come puoi applicare un metro di giudizio diverso? Neppure tu sai esattamente chi sei e non puoi giudicarti: come pretendi di sapere chi è un altro e di giudicarlo? Il tuo difetto di valutazione ricade su colui che valuti: guardati da questo funesto errore!
Certo, ognuno è diverso, e il tempo modifica le persone: una lunga esperienza è diversa da una breve esperienza. Ma la Via è il modo di vivere ora, come ciascuno è: non conta la durata ma il presente.
Qui non c’è il saggio e lo stupido, il buono e il cattivo.
Chi ieri era in colpa, oggi è sincero. Non giudicare come ladro di oggi chi è stato ladro ieri. Nessuno può dire cos’è santo e cosa profano.
Per questo la regola dice: «Per il monaco non vi è né santo né profano, incontra ogni cosa con animo equanime».
Chi non valuta le cose in termini di “questa è buona, questa è cattiva” in base a un giudizio predeterminato e irrefutabile, si trova già per questo sulla Via insuperabile di vedere ogni cosa per quello che è, nel momento in cui è.
Se fai il primo passo nella direzione sbagliata credendo che sia quella giusta, tutti i passi a seguire sono nella direzione sbagliata. Qui sta la fede dei santi, qui è l’essenza dei maestri antichi: hanno messo in azione tutte le loro facoltà, hanno speso tutte le loro energie.
Anche i nostri successori, se faranno lo stesso, arriveranno a mettere in atto la regola antica, comprendendone esattamente lo spirito e le ragioni. Non è un compito e un risultato da prendere alla leggera.
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)
Il canale Telegram di Eremo dal silenzio
Per rimanere aggiornati su:
Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
“Noi non sappiamo dov’è il nostro stesso punto di caduta, a maggior ragione come può un altro conoscere dove è il punto di caduta di un altro?”
Oltre i giudizi , conta il presente!
Affermare che non c’è differenza, è qualcosa che sento profondamente vero.
Prima che fossi educata al concetto di ugualianza, in famiglia, a scuola, nei gruppi schierati politicamente, insomma prima di tutto, ho sempre avuto la percezione profonda che l’altro, pur diverso da me in tanti aspetti esteriori, era come me, come tutti.
Questo, che ho tante volte pensato fosse una ingenuita’, causa di delusioni, sofferenza e scarsa capacità di capire chi avevo di fronte, ora lo identifico come spinta dal profondo.
I vari fallimenti, nelle relazioni, probabilmente scene necessarie ad acquisire informazioni.
Ora l’approccio con l’altro è più misurato e affine al mio sentire, ma quel sentire che non è possibile distinguere gli umani fra migliori e peggiori, non è cambiato.
“Non ci sono monaci giovani o anziani, ma monaci “.
Tutti siamo nell’Essere, tutti siamo Essere, pertanto, nel divenire, ciascuno ha le proprie comprensioni, ma a nessuno spetta il giudizio sull ‘altro, tanto più che non conosciamo a fondo neanche noi stessi.
È così ma più i collaboratori sono vicini e intimi, quelli efficaci insomma, più è complicato aderire a questa neutralità.
“Ma la Via è il modo di vivere ora, come ciascuno è: non conta la durata ma il presente.”
Questa frase racchiude l’essenza della vita vera: non c’è un prima né un dopo, non c’è quindi condizionamento alcuno, solo la semplicità del presente che emerge alla quale è permesso di essere colta.
ogni monaco é uguale non conta la bravura
sia il saggio che lo stupido hanno i loro difetti da superare..
non c’é il peggiore o il migliore
Comprendo profondamente il significato di queste parole e posso dire di averlo vissuto o di viverlo, sebbene a tratti.
Il quotidiano, l’umano, la vita “pragmatica” mi riporta a osservare giudicare e scegliere, quasi come fosse una forza di protezione.
Mi sono fatta male molte volte in questa modalità di sentire ampio, accogliente a prescindere.
Adesso sto imparando a discernere come ecologia complessiva sebbene il sentire più ampio sia lì, Presente.
“Anche se fra anziani e giovani (nella pratica) ci sono differenze di forma, e c’è l’intelligente e lo stupido, la comunità religiosa dei monaci è [una comunità] di uguali.”
Che ci sia differenza nei divenire, e quindi nella forma, è sano e necessario, ma nell’Essere una comunità di monaci non conoscono differenza.
Una musica è realizzata da diversi strumenti (divenire) ma solo insieme generano la sinfonia (Essere).
Allora dov’è l’inesperto e l’esperto? Il migliore o il peggiore?
L’intenzione ci rende tutti uguali e ci consegna la nostra parte nel tutto.