I vari amministratori e responsabili giunti a ricoprire il proprio ruolo, quando fanno una cosa e svolgono una mansione, devono coltivare il cuore gioioso,[1] il cuore di un anziano,[2] il cuore grande.[3] Quello che chiamo cuore gioioso è lo spirito della gioia.
Se noi nascessimo in cielo, ci attaccheremmo al piacere senza sosta, senza ridestare lo spirito della Via: ora non potremmo attuare la pratica, e come dunque sarebbe possibile pensare di preparare il cibo di offerta ai Tre Tesori?[4]
Fra le diecimila cose [nel mondo fenomenico] la più degna di venerazione sono i Tre Tesori, quella che sopra ogni altra eccelle sono i Tre Tesori. Neppure Indra[5] è un esempio simile, neppure il sovrano universale[6] può essere paragonato.
Nella Regola di purezza (Qinggui) si dice: “Rispettata e venerata nel mondo, quietamente intatta dalle cose del mondo, pura e improduttiva,[7] la comunità dei monaci eccelle”. Ora noi per fortuna siamo nati fra gli esseri umani, e addirittura prepariamo i pasti che i Tre Tesori ricevono e usano, non è forse grande causa di bene e favorevole relazione?[8] C’è di che gioire e rallegrarsi sommamente.
Se fossi nato nel mondo infernale, fra gli spiriti famelici, nel mondo bestiale o fra gli spiriti combattenti, o anche se fossi nato in una delle otto difficili condizioni,[9] pur se cercassi di rivestirmi con la forza del monaco, non potrei preparare il puro cibo da offrire ai Tre Tesori con le mie mani. Riceverei sofferenze in ragione di questo ricettacolo di sofferenza, e il mio corpo e spirito ne sarebbe schiavo.
Ora in questa vita invece preparo questo (nutrimento), è una vita di cui rallegrarsi, è un corpo di cui gioire. È il buon effetto di un tempo incalcolabile, è merito che non decade. Prego di riversare ogni giorno in ogni singolo momento mille, diecimila [innumerevoli] vite nell’impegno a preparare [questa offerta]. Così lego al buon effetto questo corpo di innumerevoli vite.
Lo spirito che raggiunge questa visione è detto spirito gioioso. Se anche io avessi il corpo di un santo monarca universale ma non avessi la possibilità di preparare il cibo da offrire ai Tre Tesori, allora tutto ciò sarebbe senza beneficio. Questo avrebbe solo la consistenza del bagliore di una bollicina di schiuma d’acqua.
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.Forzani. Scarica il testo con le note)
[1] kishin (sanscr. prasanna-citta; muditā-citta) spirito di gioia, che si rallegra di essere nato nella condizione umana, che permette di incontrare il dharma, e di poter agire a beneficio degli altri; spirito allegro, sense of humor.
[2] rōshin spirito di una persona ormai vecchia, che antepone il bene altrui al proprio; atteggiamento del cuore dei genitori verso un figlio.
[3] daishin (sancr. māhātmya-âśaya – mahā-citta, mahā-sattva) cuore grande, spirito magnanimo. La mente del risveglio, la mente imparziale, lo spirito della grande fede – la mente intenta nella pratica del grande veicolo. (DDB)
[4] sanbō sanscr. triratna Le tre cose preziose; i tre oggetti di venerazione. Le varie scritture e i trattati nel canone buddista contengono un vasto assortimento d’interpretazioni riguardo alla precisa connotazione di queste tre cose, sia riguardo al significato dei termini che al loro reciproco rapporto. La formulazione di base dei tre è Buddha, Dharma (insegnamento di Buddha), Saṃgha (comunità di monaci e monache). Muller DDB
[5] Tentei, Indra, il re degli dei e una delle divinità protettrici del buddhismo.
[6] Rinō sanscr. cakra-vartin – il monarca che gira la ruota, il monarca/imperatore universale (Muller DDB)
[7] mu i – non agente, non producente, non fabbricante
[8] dai innen – sanscr.mahā-nidāna – lett. grande causa e relazione.
[9] hachi nan sho – otto circostanze in cui è difficile vedere Buddha o sentire i suoi insegnamenti (Muller DDB)
18. Tutti coloro che hanno ruoli amministrativi e di direzione della pratica, quando è il momento di mettere in atto l’opera e le funzioni del proprio ruolo, devono conservare vivo il cuore gioioso, il cuore di padre e madre e il cuore grande. Il cuore gioioso è quello che si rallegra.
Pensaci: se io fossi nato in paradiso, mi sarei attaccato ai piaceri senza posa. Impossibile sarebbe il risveglio del cuore. Senza l’occasione di applicarmi alla pratica, come potrei preparare il cibo che è l’offerta ai Tre Tesori[1]? Fra tutte le realtà, le più nobili e venerabili sono i Tre Tesori. I Tre Tesori vincono su tutto. Neppure il re degli dei del cielo è paragonabile; neppure l’imperatore universale può reggere il confronto.
Nel Zennen Shinghi è detto: «Fra le cose nobili che eccellono nel mondo, la più pura e incontaminata è la comunità dei monaci, avulsa dagli affanni mondani, e che esprime la purezza di un modo di agire non condizionato».
Ora noi, così fortunati da nascere come esseri umani, prepariamo il cibo che viene ricevuto e usato dai Tre Tesori: non è questa forse la più grande occasione? Dobbiamo essere al colmo della gioia!
Pensateci: se io fossi nato nella condizione infernale, degli spiriti famelici, degli esseri bestiali, dei demoni, o ancora se io fossi nato con uno degli otto difficili luoghi, per quanto ricercassi di vestirmi di un corpo che ha l’energia del monaco, non potrei preparare con le mie mani il puro cibo da presentare in offerta ai Tre Tesori. Essendo un oggetto di sofferenza, sarei un corpo spirito prigioniero che riceve dolore.
Ora invece con questa esistenza posso preparare questo [cibo]. É un’esistenza di cui devo gioire; è un corpo di cui devo gioire. É l’occasione favorevole che capita ogni incalcolabile periodo di tempo. É un merito che non deperisce mai.
La mia preghiera è di poter riversare le mie diecimila vite, le mie mille vite in un solo momento di questo solo giorno per dedicarlo a questa pratica, a preparare questo [cibo]. Così lego il mio essere delle diecimila vite alla condizione favorevole.
Uno spirito che arriva a vedere così, questo è il cuore gioioso. In verità ecco: se anche, per esempio, uno fosse il santo re che governa le relazioni dei fenomeni, ma non potesse preparare il cibo da offrire ai Tre Tesori, in fine nullo è il beneficio. In verità ha la consistenza del bagliore della schiuma di uno spruzzo d’acqua.
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)
[1] I tre tesori sono: Budda (butsu in giapponese), in senso storico Sakyamuni, fondatore del buddismo, ma in senso universale il risvegliato, l’essere autentico, il principio ispiratore e trainante; Darma (ho), la norma che è l’orientamento della Via, la realtà autentica, ogni cosa che è se stessa; Sanga (so), la comunità, l’insieme di tutti coloro che percorrono la Via, la comunione degli esseri.
18. Chi ha ruoli di responsabilità, deve sviluppare tre attitudini del cuore: il cuore gioioso, il cuore di padre e madre, il cuore grande.
Il cuore gioioso è quello capace di rallegrarsi di quello che c’è.
C’è chi pensa che l’unica cosa di cui rallegrarsi sia nascere in paradiso. Ma il paradiso, inteso come luogo di ininterrotto piacere, allontana dalla realtà: diventa condizione desiderabile in rapporto ad altre indesiderabili. Diventa attaccamento alla propria condizione felice, che presuppone indifferenza per la condizione infelice altrui, altrimenti non sarei più felice.
In quelle condizioni è impossibile risvegliarsi alla vita universale.
É impossibile comprendere il valore e la necessità della pratica che è oltre ogni scopo. Senza la pratica, non esiste il preparare il cibo da offrire alla Comunità di coloro che percorrono la Via che dischiude l’Essere autentico.
Comunità, Via realmente vissuta, Ideale che la ispira e che la attira a sé, sono le tre cose più preziose da alimentare. Non c’è nulla di più elevato; nulla di più degno di rispetto. Perciò la regola dice: «La cosa più nobile e incontaminata fra le cose nobili è la comunità di chi segue la Via senza interesse personale, al solo scopo di seguire la Via».
Noi abbiamo la fortuna incommensurabile di essere nati come esseri umani, e possiamo mettere a disposizione la nostra vitalità per preparare il cibo per i nostri fratelli che cercano di vivere la loro vita seguendo la direzione più autentica: si può volere di più?
Le condizioni di sofferenza, di malattia, di confusione, di sconvolgimento che ci sono nel mondo sono infinite: potrei essere io in una di queste situazioni. Potrei trovarmi impossibilitato a fare la mia parte, anche se volessi farla con tutte le mie forze. Se la sofferenza, in una delle sua innumerevoli forme, si impossessasse di me, io sarei preda della sofferenza.
Devo gioire di avere invece un corpo spirito che mi permette di fare la mia parte. Io credo che sia normale, perché è la mia realtà: ma da un altro punto di osservazione è una fortuna che capita rarissimamente. Questa virtù non devo farla deperire. Devo viverla anche per tutte le mille, diecimila vite che in questo momento vivono senza potere gioire appieno del loro essere vive.
La vita è una e circola identica in ogni essere. La mia vita abbraccia la vita intera, tutta la vita, se la vivo come Via e non come capriccio. La mia preghiera è di poter vivere questo istante come il momento in cui tutte le vite si incontrano nella mia vita, e dedicarlo alla pratica di preparare il cibo per la comunità delle persone della Via: allora lego la mia vita alle infinite forme di vita e il beneficio della mia pratica si riversa su tutti.
Se riesco a vedere così, allora il mio è un cuore gioioso, perché vede il bene correre e diffondersi ovunque. Davvero: se anche fossi un potente santo che governa le leggi della natura e compie miracoli, ma non potessi preparare il nutrimento concreto che alimenta la Via, che nutre chi la percorre, che mantiene salda la direzione, allora, alla fin fine, il mio beneficio sarebbe il miraggio di un attimo.
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Coltivo il cuore grande che illuminato dall’Essere, conduce all’Uno.
Molti stimoli per riflettere, c’è una frase che mi fa quasi tremare.
“La mia vita abbraccia la vita intera,
vivere questo istante come il momento
in cui tutte le vite si incontrano nella mia vita.”
Quando si riveste un ruolo di responsabilità….
In verità in ogni ambito ognuno svolge un ruolo di responsabilità, anche quando non del tutto
consapevole.
Tutto cambia quando quel ruolo viene visto e vissuto come ” vivere questo istante come il momento in cui tutte le vite si incontrano nella mia vita” e “allora lego la mia vita alle infinite forme di vita e il beneficio della mia pratica si riversa su tutti.”
È così che l’Unita si concretizza!!
“I vari amministratori e responsabili giunti a ricoprire il proprio ruolo, quando fanno una cosa e svolgono una mansione, devono coltivare il cuore gioioso,[1] il cuore di un anziano,[2] il cuore grande.[3] Quello che chiamo cuore gioioso è lo spirito della gioia.”
Questa disposizione, fondamento della Comunità monastica, una volta acquisita, riverbera in ogni scena del quotidiano, all’interno di ogni comunità, sia essa la famiglia o il gruppo di lavoro. La leggerezza, la caratterizza.
“Devo gioire di avere invece un corpo spirito che mi permette di fare la mia parte. Io credo che sia normale, perché è la mia realtà: ma da un altro punto di osservazione è una fortuna che capita rarissimamente.”
Profonda gratitudine.
L’importanza dell’Incarnazione che ti fa scoprire e vivere la Via
L’importanza della pratica per mantenere salda la direzione.
L importanza del servizio alla comunità, servizio come cibo che nutre l’organismo.
Il cuore gioioso:il procedere nella gratuità.
La nostra vita é una grande possibilità di pratica,
sia meditadiva che quotidiana…
saremmo delli sciocchi sè non approfittassimo di coltivare la preseza,
questa è la nostra ora…
questo è il nostro momento…
questa è la nostra vita tra le mani
“Davvero: se anche fossi un potente santo che governa le leggi della natura e compie miracoli, ma non potessi preparare il nutrimento concreto che alimenta la Via, che nutre chi la percorre, che mantiene salda la direzione, allora, alla fin fine, il mio beneficio sarebbe il miraggio di un attimo. ”
La materia come porta all’Essere.
La gratitudine diventa spinta all’azione dedita e gratuita.
Comprensione che genera leggerezza.