Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Non sono uno come quei maestri zen colonialisti che pensano basti semplicemente andare all’estero a imbonire la gente. Invece è molto importante produrre testi per far conoscere davvero agli stranieri il vero zazen. È per questo che io, durante gli ultimi dieci anni, mi sono impegnato qui ad Antai-ji a formare persone e scrivere testi.
Presto, poco a poco verranno tradotti e scritti testi sullo zazen anche in inglese, tedesco, francese, italiano, e su quella base ci saranno persone in grado di fungere da guida per altri e questo mi rallegra più di ogni altra cosa.
In generale, come ho detto, l’essenza dello zazen cambia a seconda dell’atteggiamento con cui lo si fa. Ci sono sei tipi di zen che non sono lo zazen che noi facciamo.
“Sei tipi di zen” è un riferimento alla divisione in sei mondi, tipica del buddismo classico, che divide allegoricamente la realtà degli esseri viventi in sei diversi regni, denominati rispettivamente in successione dall’infimo all’eccelso: regno infernale, regno degli spiriti famelici, regno animale, regno degli spiriti guerrieri, regno umano e regno celeste. Così, per sei tipi di zen s’intende:
1, lo zen infernale;
2, lo zen famelico;
3, lo zen animalesco;
4, lo zen guerriero;
5, lo zen umano;
6, lo zen celestiale.
Che cos’è lo zen infernale? È la condizione di chi ci si terrorizza al solo sentir parlare di “zazen”. Molti appartenenti a questa categoria sono preti zen. Infatti sono obbligati a trascorrere determinati periodi di pratica in appositi seminari per ottenere i documenti che li certificano ufficialmente come preti zen, e qui viene loro imposto di fare zazen, cosa che fanno solo perché costretti e con ribrezzo. Lo zazen fatto con questo atteggiamento è detto zen infernale.
Poi c’è lo zen famelico. È quello di chi insegue esperienze d’illuminazione, il satori, ossessionato da quell’idea fissa. Questo è lo zen del mondo famelico.
Quindi c’è lo zen animalesco. S’intende qui l’atteggiamento simile a quello degli animali domestici, come cani o gatti addomesticati. C’è gente che sta in monastero perché lì ti danno da mangiare. Qualche volta tipi così capitano anche qui ad Antai-ji. Stanno qui solo perché si mangia, tanto, anche durante i nostri lunghi ritiri di zazen, il tempo in qualche modo passa.
Abbiamo dovuto varie volte mandar via gente del genere. In giapponese c’è un proverbio che dice: “Se vuoi nasconderti cerca l’ombra di un grande albero”: sbagliano di grosso quelli che pensano di risolvere il problema di vitto e alloggio nascondendosi dietro a quel filo d’erba che è Antai-ji. Anche se uno pensa di star qui solo per il cibo, non trova niente di particolarmente prelibato, solo riso integrale, zuppa di miso e qualche verdura. Per un monaco è davvero insensato pensare di stare ad Antai-ji come stesse in un allevamento. Fate attenzione a questo zen animalesco, è roba di cui vergognarsi.
Poi c’è lo zen guerriero. È quello della corsa al satori, della competizione con se stessi e con gli altri, la gara a chi pratica più severamente. Questo è lo zen dei guerrieri.
Ed eccoci allo zen umano. Come ho già detto questo è lo zazen con secondi fini. Quello di chi fa zazen per migliorare le proprie facoltà intellettuali o le proprie condizioni di salute, insomma per ricavarci qualcosa. Ci sono libri che parlano di zen e psicologia, di zen e salute, sono tutti esempi di zen a fini utilitaristici. Quelli che fanno zazen in cambio di qualcos’altro: questo è lo zen del mondo umano.
Infine c’è lo zen celestiale, di quelli che si ritirano dal mondo. Questo oggigiorno piace molto agli americani. Fuggendo dal frastuono della civiltà materialistica, diventano hippies, si ritirano fra i monti, si godono il sollievo di quell’atmosfera confortevole. Oppure, se si scocciano solo di questo, si divertono per passatempo a lucidare lo scettro di un prelato. Questo tipo di zen è solo un hobby, lontano anni luce dal buddhadharma.
Se si finisce intrappolati in uno di questi sei tipi di zen, non si può comprendere la questione principale del buddhadharma, che, come ho detto poc’anzi, riguarda l’insegnamento di impermanenza e non-egoità. La mano del pensiero aperta – l’insegnamento della non-egoità è il fondamento del buddhadharma. Fonte
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Concordo con quanto scritto precedentemente da Nadia, la condizione dell’umano oscilla tra i diversi tipi di zazen.
Nella mia pratica riconoscono di essere passato e di passare per alcune delle fasi descritte.
Molto utile conoscerle per comprendere a fondo lo zz. Pratica e riflessione non possono essere disgiunte.
Come scritto in alcuni commenti, sicuramente il tipo di pratica dipende dalle comprensioni raggiunte. Ciò non toglie che ci sia oscillazione tra i vari tipi di zen. A maggiore comprensione corrisponderà minore oscillazione. Ma l’umamo è un essere complesso, impossibile declinarlo in un solo modo!
Anche dire ciò che lo zazen NON è aiuta a comprender ciò che è.
Tutto ruota intorno al grado di sentire e alle comprensioni di ogni individualità
Tanti modi di praticare a seconda delle comprensioni raggiunte.