Queste voci vi stanno parlando di dono come concetto di cui l’umano si appropria, dicendosi: “Io dono, io sono per gli altri nel mio offrire!”. Quindi, che cosa ne faccia l’altro e che effetti produca in lui ciò che voi chiamate il ‘vostro dono’ non vi riguarda proprio.
Né il dono e nemmeno i cosiddetti effetti vi appartengono, benché poi tentiate di mettere lo zampino e il vostro marchio persino su quel che produrrà nell’altro. Una volta che avete offerto quel dono, nulla più vi appartiene, e può darsi che l’altro veda effetti molto diversi da quelli che vi eravate immaginati.
Ma poiché non riuscite a vedere il dono soltanto come un moto che nasce dentro un’azione fino all’esaurirsi di quell’azione, allora considerate dono solamente un’azione di cui siete i protagonisti e che avete programmato. E quindi, ogni volta che parlate di dono, state pensando a un’azione che riproduce il dono da voi progettato.
Però – attenti – ragionando così non vi accorgete che dentro l’azione del donare voi vedete sempre qualcosa in più di un’azione in sé, cioè qualcosa che date per scontato. E così il dono – che è semplicemente un moto – si colora sempre di altro, sia perché non riconoscete la disconnessione in atto e sia perché avete a priori un giudizio su di voi, come agenti, e anche sul risultato sperato.
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Ritorniamo al fatto che il dono è moto – punto – ed è un’azione che ha come presupposto essenziale di non nascere da un obbligo, ma di concretizzarsi in un’azione non vincolata.
La via della Conoscenza vi dice che è proprio nell’agire che si costituisce il dono, non prima e neppure dopo, quindi solo nel durare dell’azione. Però, vista in tal modo, l’azione del donare a voi risulta concettualmente arida. E vi dite che, se il dono fosse soltanto azione che termina col chiudersi dell’azione, cosa mai sarebbe quello che chiamate ‘dono’ e che ritenete tale perché parte da voi, porta il vostro marchio e gli effetti da voi sperati?
Ma, considerando dono soltanto un moto che dura fino al momento in cui termina il farsi di quell’azione, in base a questo, il dono può essere considerato vostro? Per rispondere, provate a immaginare un dono i cui frutti sperati non vi riguardano, nemmeno li conoscerete, e poi capite che non può essere considerato vostro.
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In merito alla via della Conoscenza: quel che le voci dell’Oltre ci hanno portato non sono degli insegnamenti, non sono nuovi contenuti per le nostre menti, non sono concettualizzazioni da afferrare e utilizzare nel cammino interiore. Sono paradossi, sono provocazioni o sono fascinazioni, comunque sono negazioni dei nostri processi conoscitivi e concettuali.
Non hanno alcuno scopo: né di modificarci e né di farci evolvere. Creano semplicemente dei piccoli vuoti dentro il pieno della nostra mente. Ed è lì che la vita parla.
Per qualsiasi informazione e supporto potete scrivere ai curatori del libro: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
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Indice dei post estratti dal libro e pubblicati
Abbreviazioni: [P]=Prefazione. [V]=Vita. [G]=Gratuità. [A]=Amore.
Le varie facilitazioni di lettura: grassetto, citazione, divisione in brevi paragrafi sono opera del redattore: i corsivi sono invece presenti anche nell’originale.
Viene in mente un parallelo con la natura anche se non so se prroprio azzeccato.
Tutti noi abbiamo piante in casa, terrazzo o giardino e, il fiore che sboccia da questa pianta non sboccia certo per nostro merito ma è un dono… Così ho inteso la natura del dono.
Il dono è moto, azione, il cui risultato non ci riguarda.
Che ogni gesto non sia spurio di ricerca dell’identità di affermarsi in vario grado, non riduce l’effetto del dono.
Mi verrebbe da dire che tutto è dono quando c’è la giusta disposizione a non possedere nulla di ciò che in noi sorge.
Quel protendersi verso l’altro è dono se c’è gratuità nell’intenzione che ci muove, se stiamo nel processo dell’azione che sorge, piuttosto che nel risultato da capitalizzare.
Nulla ci appartiene!
Se parto da ciò tutto quel che sorge è semplice liberazione della natura costituente. Anche ciò che produce attrito sempre dono è.
Ogni moto libero dalla classificazione mentale è dono, e quando accade spesso uno stato di stupore ne consegue.
Per quanto la mia comprensione può arrivare direi che la struttura ontologica della realtà è dono: azione immotivata che accade e che risponde a una logica profonda a noi ignota. Poi rispetto a ciò si sovrappone la nostra appropriazione identitaria, la nostra “umana” necessità di rivendicare. Per riprendere quello che scrive anche Elena, credo che l’oscillazione sia costante tra dono e appropriazione identitaria, frutto della nostra natura di incarnati.
Il dono inteso come sola azione è una altra apertura di visione che ci dà la VdC.
Sto vivendo questo e sento la differenza – tra vivere il dono come moto che dura nell’Azione e vivere il dono come processo identitario -perchè alterno i due stati.
Il primo non ha nemmeno senso chiamarlo dono. Avviene nel silenzio identitario. È.