Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Riguardo allo zazen, davvero un minuto seduto, un minuto Buddha, per cui anche sedere un minuto, è cosa ottima. Non c’è assolutamente una misura da raggiungere altrimenti non ci siamo.
Nello stesso tempo, più se ne fa, come ho detto prima, mentre apriamo la mano del pensiero, poco a poco comprendiamo che io non sono quel che ho pensato di essere. Poco a poco si comprende chiaramente che il vero io non sono quel che ho pensato: quello che c’è quando apro la mano del pensiero è il vero me, l’io uno con tutto, l’io dell’intero universo.
In altre parole, se siedi per lunghi anni, davvero verifichi che non c’è altro che sedersi. Perciò, è vero che anche fare un solo minuto di zazen risveglia egregiamente, e nello stesso tempo è vero che fare zazen per molti anni è assolutamente importante. Zazen va fatto tutta la vita. Per risvegliarsi al vero significato di sé bisogna sedersi per la vita intera.
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Nel fascicolo dello Shōbōgenzō intitolato Shohaku makusa (Non produrre alcun male) Dōgen scrive: “La forza della pratica è immediatamente evidente quando siamo nella condizione in cui non si può produrre più alcun male. Questa evidenza si manifesta come misura dell’intera terra, dell’intero mondo, di tutto il tempo, di tutte le cose. È la misura del non produrre”.
Non significa che non produciamo il male perché intenzionalmente non facciamo le varie cose cattive. Quando io è il me dell’intera terra, dell’intero mondo, di tutto il tempo, di tutte le cose, dell’intero universo, quasi senza rendersene conto c’è “la condizione in cui non si può più produrre [alcun male]”.
Questa è “la misura del non produrre”: in fin dei conti vuol dire che, a forza di fare zazen, risulta chiaro che quale che sia la situazione in cui ci si trova, quello è l’universo intero. Dato che qui c’è “la condizione in cui non si può produrre più alcun male” è evidente che si deve proseguire per dieci anni, anzi, per tutta la vita.
La maggioranza dei miei discepoli è nei loro vent’anni, pochi all’inizio dei trenta. Fra dieci anni, ne avranno trenta, quaranta, fra vent’anni ne avranno fra i quaranta e i cinquanta e fra trenta saranno cinquanta e sessantenni. A quel punto nulla li potrà più smuovere e se tutti continueranno a fare zazen, saranno senz’altro la luce del mondo ovunque vadano. Se ce ne sarà qualcuno non come si deve, dirò come il monaco Jōshū: “Tagliate pure la testa di questo vecchio monaco”. Fonte
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Mentre siedo, quella è la cosa più importante al mondo…
“Quale che sia la situazione in cui ci si trova, quello è l’universo intero”.
Quello che attualmente il mio essere sta compiendo è l’intero universo, ha tutta la attenzione, non esiste altro, c’è solo questo e corrisponde con la totalità.
Tale atteggiamento è detto “presenza”, e noi in zz non facciamo altro che essere presenti come lì davanti al muro, quello è tutto il mondo, la totalità.
Da questo punto di vista non c’è progresso, quando accedo a questa condizione ecco che sorge l’illuminazione, non c’è altro.
In questi giorni, in cui fatico ad essere fedele allo zazen, sento e sperimento cosa il vuoto della pratica produce.
A volte mi sento come un’assetata a cui manca l’acqua.
Tutto è ampio
oltre me e te
che scalpitiamo per chi ha più ragione.
Alto nel cielo il volo dell’aquila.
Alla luce dell’alba, mi siedo.
Gli uccelli con il loro cinguettio, il gallo con il suo canto, la brezza del mattino, mi tengono compagnia.
Dentro di me pensieri che si susseguono senza direzione alcuna.