Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Questo luogo che chiamiamo monastero, è come la terra per il contadino. Al giorno d’oggi, a dire il vero, non ci sono discepoli in quasi nessun tempio. Solo ad Antai-ji se ne radunano molti.
Certo, nei grandi monasteri come Eihei-ji o Sōji-ji o Myōshin-ji che sono le case madri delle principali scuole Zen giapponesi, troviamo molti preti, che però vi si recano quasi esclusivamente per ottenere il certificato clericale, e senza l’esca del certificato penso ce ne sarebbero ben pochi.
Il fatto è che ad Antai-ji quel richiamo è assente fin da principio. Si può stare qui quanti anni si vuole, e non si otterrà mai alcun certificato. Per questo il fatto che qui ci siano così tanti residenti non può essere termine di confronto con altre situazioni. È una cosa straordinaria. Ho paura che accada solo qui in tutto il Giappone. Il motivo è che io ho avuto successo nel preparare il terreno. Si dice che “l’agricoltore scadente produce erbacce, quello mediocre produce raccolti, e il migliore prepara il terreno” e io sono stato davvero un ottimo agricoltore. Ho preparato il terreno. Mi sono davvero dedicato soltanto a far sì che Antai-ji fosse un luogo facile da vivere per sinceri e seri praticanti religiosi.
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Per fare un esempio, anche questo è un tempio e dunque capita di ricevere offerte da laici, ma in quei casi io faccio attenzione che a quell’offerta non sia attaccata una lenza. E quando mi sono reso conto che accettare un’offerta avrebbe potuto essere causa di problemi per i residenti, non l’ho mai accettata.
[…] Poi viene l’armonia malintesa. In monastero le persone non si armonizzano solo nel lavorare e nel fare zazen, ma anche bevendo e divertendosi insieme. Questo va anche bene, ma se ci si armonizza solo in quelle occasioni l’atmosfera del luogo di pratica religiosa va in pezzi. È questo che intendo per armonia malintesa. Se succede, i sinceri praticanti ne saranno affetti. Anche a questo si deve far molta attenzione in monastero.
È importante che tutti, mentre sono concordi l’un l’altro, vadano avanti proteggendo l’atmosfera che rende possibile la comune pratica religiosa. Per quanto tutti siano membri praticanti del monastero, non c’è chi incarna da solo tutto lo spirito della via, ognuno porta la sua parte di spirito della via collettiva.
Sawaki rōshi lo ripeteva spesso, il monastero è come un fuoco di carbonella, se metti nel braciere un solo pezzetto acceso, finisce presto per spegnersi. Ma se si aggiungono anche poco alla volta altri pezzetti di carbonella, il fuoco divamperà. Allo stesso modo, se ognuno mette la sua parte di spirito della via il monastero prospera, senza dubbio.
I sette punti precedenti sono le cose cui io stesso ho sempre fatto attenzione. Così sono giunto fin qui grazie a voi, e pensando di trasmettere queste attenzioni alle persone che vengono dopo di me, le ho messe per scritto. Vorrei che le teneste come riferimento. Fonte
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Diverse parti salienti in questo post. Da rileggere con puntualità.
“Il miglior agricoltore è colui che prepara il terreno”.
Pura gratuità. Commovente.
Da interiorizzare.
In un monastero è necessario proteggere l’atmosfera che rende possibile la pratica religiosa.
Un sol monaco non incarna tutta la via, ma ciascuno è come un pezzo di carbonella che, insieme agli altri alimenta il braciere.
Parole che ci riguardano profondamente, che riguardano la nostra pratica di nuovo monachesimo diffuso.