Infine, ho scritto una poesia, “Lasciare Antai-ji”. Non so se si possa davvero chiamare una poesia, comunque eccola:
C’è un lavoro per me,
anziano ormai
non rivolto all’esterno
come quand’ero giovane:
ora, verso l’interno solo mi giro,
guardo me stesso
e come nel vasto cielo
svaniscono le nuvole,
io quietamente
vado svanendo
Di recente penso profondamente che nel luogo in cui apro la mano del pensiero, lì davvero sono io col mondo intero. Che lo si pensi o no, io col mondo intero. La capite l’espressione “io col mondo intero”?
Comunque, che lo pensiate o no, fino in fondo uno con tutto. Questo è il vero me stesso. Forse per conto vostro voi non lo pensate, ma è proprio così. Se la mano del pensiero è aperta, questa è la realtà. Quindi, la cosa importante è la funzione che svolgete adesso, qui.
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Finché Sawaki rōshi era vivo, la mia funzione era quella di novizio. Il mio compito di novizio è durato a lungo, fino a cinquantadue, cinquantatré anni. Pur continuando a essere il monaco giovane ero un anziano monaco. Ho adempiuto fino in fondo a essere l’anziano monaco giovane. Questa è una funzione.
Alla morte di Sawaki rōshi c’è stato poi il compito di monaco abate. Come ho già detto, tengo i sermoni perché è mio compito farlo, sono l’insegnante perché anche questa è la mia funzione. Ora è giunto il momento del compito di ritirarmi. Nel mio caso, non è che fare il novizio sia un fastidio, fare l’abate una soddisfazione e ritirarsi una pena.
Le persone mondane la pensano in questo modo, ma non è così. Penso invece che quello che conta sia l’atteggiamento di svolgere ognuno dei propri ruoli con il massimo impegno. “Reverendo, non ti ritirare finché puoi, dimettersi non va bene… I discepoli ti sottraggono l’autorità”. Ho ascoltato lamentele simili, ma ora nel mio caso è del tutto differente. Si tratta solo di una funzione.
D’ora in avanti in Giappone gli anziani aumentano di numero, questo è il motivo per cui dieci anni fa ho detto chiaramente che mi sarei ritirato. In Giappone l’invecchiamento della popolazione preoccupa, perché un sempre maggior numero di anziani sta andando verso il ritiro dal lavoro. Allora ho pensato di provare a prendere l’iniziativa.
Non è bene pensare che il tempo del ritiro dal proprio lavoro sia triste se paragonato al tempo del servizio attivo. Anche diventare vecchi è una funzione. Nel periodo della vita lavorativa si lavora come svolgimento di una funzione. Dopo il ritiro si svolge la funzione di essere ritirati dal lavoro. Certo, le entrate si riducono, ma se le entrate si sono ridotte, si vive riducendo al minimo indispensabile le spese, e questo diviene il proprio compito. Pensarla come una condizione miserabile non è bene. Al contrario, penso sia importante impegnarsi a fondo a viverla come il proprio compito.
Noi lavoriamo come funzione, svolgiamo i vari ruoli nella vita come funzione, e poi moriamo come funzione.
Ho scritto anche un’altra poesia:
Comunque questo io,
lo pensi oppure no,
è me col mondo intero.
Quest’io col mondo intero
Al tempo del suo ruolo di vita
Svolge il ruolo di vivere
Al tempo del suo ruolo di morte
Svolge il ruolo di morire soltanto.
Vivere manifesta l’intera funzione
Morire manifesta l’intera funzione.
Come ho già detto, non si muore e si vive nella propria testa. Quando si vive, si vive, questo è tutto. Quando si muore, si muore, è tutto.
Se parliamo del vivere, la vita intera oltre il pensiero vive, quando si muore tutto muore, compreso il pensiero.
Quando si vive, è la funzione di me col mondo intero che vive.
E quando si muore, è la funzione di me col mondo intero che muore.
Questo è il significato di “Vivere manifesta l’intera funzione, morire manifesta l’intera funzione”. Perciò il mio ritirarmi è la manifestazione dell’intero funzionamento di ritirato.
Di recente è venuta a trovarmi la madre del qui presente Shūsoku san, e mi ha detto: “Ma è troppo presto per ritirarsi!” invece non è troppo presto. Quando, alla morte di Sawaki rōshi sono diventato il monaco abate, ho detto a tutti “Da ora svolgo il ruolo d’insegnante”. E a quella funzione mi sono dedicato. Non è bene protrarre per troppi anni questo compito d’insegnante.
Nel primo periodo d’insegnamento c’è la passione d’insegnare, poi quando un insegnante diventa un po’ più vecchio, la tecnica d’insegnamento forse migliora, ma quella passione svanisce. Ora, nel nostro caso, ciò che conta non è la tecnica ma la passione per l’insegnamento.
Succede spesso con maestri di scuola elementare, che siano soprattutto gli studenti cui hanno insegnato da giovani ad affezionarsi e poi a riunirsi per andarli a trovare anche anni dopo aver finito la scuola. Nella maggior parte dei casi, pur se i giovani insegnanti sono inesperti nella tecnica d’insegnamento, gli allievi amano per sempre la loro passione nell’insegnare.
Per cui, penso che ritirarmi dopo dieci anni sia proprio la cosa giusta.
C’è anche chi mi ha detto: “Ti ritiri presto per fare insei?” Insei si riferisce ai casi dell’imperatore Shirakawa o dell’imperatore Goshirakawa che dopo aver abdicato continuavano a interferire nel governo del Paese. Questo s’intende per insei. Non sarà il mio caso. Una volta ritiratomi, quella sarà la mia funzione, come ho detto, e devo morire completamente al servizio attivo.
Anzi, d’ora in poi poco a poco divento vecchio e semmai saranno i miei discepoli a doversi prendere cura di me, e per parte mia penso non sia bene metter bocca in ciò che faranno loro. Ho intenzione di morire del tutto a cose del genere.
Se i miei discepoli d’ora in poi praticheranno con serietà e impegno e si comporteranno bene, io sarò contento sottoterra, all’ombra dell’erba. Se invece finiranno per instupidire, sarò solo triste all’ombra dell’erba. Vorrei che tutti faceste sì che io possa davvero esser contento all’ombra dell’erba. Ve ne prego.
Questo è l’ultimo sermone di Kōshō Uchiyama rōshi, abate del monastero Antai-ji a Kyoto, pronunciato il 23 febbraio 1975, a partire dalle14:10, sotto una fitta nevicata. Erano in ascolto circa cento persone fra monaci e laici.
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Nel primo periodo d’insegnamento c’è la passione d’insegnare, poi quando un insegnante diventa un po’ più vecchio, la tecnica d’insegnamento forse migliora, ma quella passione svanisce. Ora, nel nostro caso, ciò che conta non è la tecnica ma la passione per l’insegnamento.
Colpisce questo passaggio: la passione come spinta ad agire, come spinta alla manifestazione di sé.
Un vero testamento, nessun attaccamento.
La funzione, qui e ora, ciò che ci viene affidato, quello che ci viene chiesto dalla Vita è “io col mondo intero”.
La propria Via, il suo modo particolare, assolutamente personale e irriducibile all’altro, corrisponde allo svolgimento della funzione: “un altro non è me”.
Riecheggiano potenti le parole del Tenzo
Illuminante questa testimonianza.
“Quando si vive, è la funzione di me col mondo intero che vive.
E quando si muore, è la funzione di me col mondo intero che muore.”
Quante comprensioni passano in questo passaggio.
Parole che vanno interiorizzate.
Ma credo che la scelta di questo testo non sia casuale al periodo di passaggio che viviamo in VDM.
Profonda gratitudine.