Di seguito due brani di Scifo, Cerchio Ifior, relativi alla disposizione interiore nel lavoro del ‘Conosci te stesso’ e delle considerazioni mie sui paralleli con la disposizione meditativa.
- Quello che voi potete fare – ritornando a questo punto, che è l’importante, nel “lavorare su se stessi” – è di fare in maniera che, pur osservando se stessi attraverso la mediazione dell’Io e quindi in maniera in fondo sempre e comunque soggettiva, fare in modo, dicevo, che questo Io non emetta dei giudizi su se stesso ma, semplicemente, si presti a essere il punto di passaggio delle informazioni che arrivano.
- In questa maniera, osservando se stessi senza lasciare che le emozioni sconvolgano più che tanto le vibrazioni interiori, senza lasciare che i pensieri galoppino sfrenatamente in maniera tale da confondere le idee e cercare continuamente giustificazioni su giustificazioni a quello che l’individuo fa, tutto questo permette al corpo akasico di ricevere delle informazioni più lineari, più semplici, più comprensibili, più decodificabili e, quindi, tali da poter più facilmente essere inserite nell’insieme della comprensione, fornendogli la capacità di mettere assieme i granelli di sentire che qua e là va raccogliendo nel corso della sua esistenza. (Post Cerchio Ifior del 29.7.22)
- Molte volte vi diciamo di non giudicare gli altri: prima di guardare all’esterno, a quello che fate agli altri, dovreste imparare a osservare quello che fate a voi stessi; e voi stessi siete i primi, in realtà, che operate dei giudizi negativi su di voi, e sono questi giudizi negativi che voi stessi – o, meglio, il vostro Io – emette su voi stessi, quelli che danno il via alla nascita dei sensi di colpa e a tutti i problemi che poi provengono da questi sensi di colpa.
- Quindi, osservare se stessi emettendo “un giudizio” sulle proprie azioni significa già in partenza viziare la propria osservazione dal proprio punto di vista soggettivo, facendo così in maniera tale da mascherare quelli che, magari, possono essere i problemi veri; perché magari l’Io, nell’osservare, si ferma a quello che più lo colpisce, tralasciando quello che preferisce tralasciare.
- È necessario, invece, abituarsi – nell’osservare se stessi – a osservare tutti gli elementi spassionatamente, dando a ognuno – da quello apparentemente più importante a quello meno importante – la stessa forza, la stessa capacità di portare comprensione di tutti gli altri. Post Cerchio Ifior del 5.8.22
La questione centrale è: chi produce il cambiamento in noi?
La risposta, ovvia, è: le comprensioni acquisite.
Chi comprende?
L’insieme unitario comprende e cambia, ma il motore del cambiamento è nel corpo akasico e nell’ampliarsi del sentire di coscienza che esso genera.
Il corpo akasico conosce e orienta tutti i processi dei suoi veicoli transitori: è lo sceneggiatore e il regista, genera i dati che invia ai corpi transitori ed elabora le risultanze che gli giungono.
Conosce dunque tutti i processi e la difformità tra quanto vorrebbe ottenere e quanto in realtà ottiene attraverso le esperienze.
- Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
- Le basi del Sentiero contemplativo
- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
L’identità si trasforma perché si trasforma il sentire: al centro non ci sono le analisi interpretative dell’identità su questo o su quel comportamento, ci sono invece i dati che dall’esperienza giungono al sentire.
Gli artefici del cambiamento sono il binomio sentire-esperienza, e il ciclo: sentire-esperienza-sentire.
Attenzione perché questo è centrale: non è l’autoanalisi che produce cambiamento, anzi essa può essere di ostacolo perché, essendo condotta dall’identità, può confondere i dati, il circolo dei dati sentire-esperienza-sentire.
In una condizione di non particolare eccitazione dei corpi, e quindi con mente e astrale relativamente calmi, l’autoanalisi è inutile perché i dati fluiscono liberamente e fluidamente tra i corpi, nel ciclo sentire-esperienza-sentire.
Se invece i corpi sono molto eccitati e caotici, allora il flusso dei dati diviene problematico e l’autoanalisi aiuta a mettere ordine, a dipanare un poco il groviglio affinché l’astrale e il mentale si plachino e possa tornare il regolare flusso dei dati nel circolo sentire-esperienza-sentire.
Ripeto: non è attraverso l’autoanalisi che si comprende, ma solo attraverso il fluire libero e non ostacolato dei dati tra esperienza e sentire.
L’autoanalisi si rivela utile per dipanare l’eccesso di tensione che si crea nei corpi transitori, nell’identità.
A questo punto credo sia chiara l’importanza della disposizione meditativa e della pratica meditativa: infatti, cosa producono esse in noi?
Una relativa calma e stabilità nelle dinamiche dei corpi transitori; un’accoglienza dei processi; un’alta consapevolezza; una compassione; un’apertura all’Essere.
La disposizione meditativa è il viatico ideale al flusso armonioso dei dati nel ciclo sentire-esperienza-sentire, dunque rappresenta il mezzo, lo strumento, la pratica che più favorisce il cambiamento creando le condizioni necessarie al corpo akasico, il regista e il terminale/artefice di ogni cambiamento, di poter svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi possibili.
Nella sostanza: il cambiamento avviene in modo naturale semplicemente vivendo.
Maggiore è la consapevolezza dei processi in atto, maggiore la capacità di liberarsi dalle scorie che ostacolano il flusso dei dati.
L’autoanalisi fondata sulla consapevolezza ha lo scopo di chiarificare il velo che le dinamiche dei corpi transitori e dell’identità frappongono al transito fluido dei dati.
Ha la funzione dei netturbini: pulire la strada il più possibile da ciò che la ingombra.
È chiaro che dei dati sistemati e ordinati nel corpo mentale e astrale sono di aiuto non solo in quanto liberano ‘la strada’, ma anche perché rappresentano prime parziali comprensione relative.
Comprensioni relative che vengono portate al corpo akasico, il quale dispone di molti altri dati che l’identità non ha potuto o voluto vedere, e che comunque si avvantaggia di ciò che è già chiarificato.
Una precisazione: qui si parla della meditazione e di come essa sia funzionale ai processi di trasformazione, ma questo è un effetto collaterale della meditazione, una ricaduta della sua pratica.
Noi non pratichiamo perché ci placa e armonizza i corpi facilitando la trasformazione, noi pratichiamo perché facendolo ci abbandoniamo all’Essere, l’unico nostro ‘intento’.
Un ulteriore passaggio per approfondire due punti fondamentali come la pratica meditativa e il lavoro su se stessi.
Cristallino
Il cambiamento avviene in modo naturale semplicemente vivendo: abbandonarsi al libero fluire senza scopo
Chiaro. Argomento da riprendere e approfondire, ricco d’implicazioni. Grazie.
Tutto è chiaro ed è li che sono.
Vedo bene quanto ingombro si frappone e quanta fatica genera.
Anche a me risulta chiaro e se ne coglie l’importanza. Grazie.
Leggendo la prima parte, mi era sorta subito la domanda “ma come, diciamo che la meditazione non ha scopo e poi se ne indica l’uso”?
Alla fine la risposta del post, la risposta alla mia domanda.
Il post è il commento sono chiari