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Indice: Sprofondare in un abisso|Vento che va|Lascia che l’altro sia|Anche l’altro trasmuta|Tutto scorre|Soli con le miserie della mente|Soffio del Divino|Deserto|Il silenzio di Dio|Vento che va|Fa di me ciò che vuoi|Gli altri, il Divino|Il Divino nella privazione|Essere amore|Annullare amore|L’amore se non sei|L’irrilevante che tace|Il silenzio di un certosino|Vedersi per non suppurare|L’evoluto
1. Sprofondare in un abisso
Togliere ogni radice significa sprofondare in un abisso che all’inizio sconcerta. Infatti, se è pur vero che quando si impoverisce il giudizio si sperimenta la bellezza del flusso, è vero anche che si avranno meno indicatori di direzione. I vostri indicatori di direzione sono proprio i giudizi, che, se muoiono o si attenuano, vi faranno sentire senza strada, senza elementi di paragone e senza confronti, perciò confusi.
Anche se la prima sensazione che si prova è di leggerezza, contemporaneamente, col diminuire del giudizio, si avrà sempre meno spazio per chiedersi dove si è e dove si sta andando poiché, in assenza di giudizio, non si saprà più su che cosa basarsi per formarsi un’opinione su di sé o per stabilire che la propria strada è proprio quella che si sta percorrendo, e non un’altra. E qui allora domandatevi: ma voi cercate una strada, oppure la morte di tutte le strade? (Da vdc42)
Essere nel flusso significa rinunciare ad avere una strada, perché muore ogni pretesa di voler andare da qualche parte, e si aderisce a ciò che viene consegnato, momento dopo momento, dal mistero dell’accadere. (idem)
2. Vento che va
L’altro è l’altro, e non importa se l’altro è buono o è malvagio, o non importa se l’altro vi è vicino o vi è lontano, l’altro è l’altro e si mette davanti a voi con tutto il suo spessore che è l’esistenza dell’essere.
E ciascuno di voi chi è? Vento che va, anche se voi obiettate: “Come, vento che va? Se l’altro è l’altro, io sono io, e io pure sono esistenza dell’essere”. No, tu non sei niente! Il punto di partenza per capire questo discorso è che tu non sei niente e l’altro è l’altro. (Da vdc43)
3. Lascia che l’altro sia tutto quello che vuole esprimere
A quel punto la relazione acquista in profondità, poiché ognuno è talmente niente che lascia che l’altro sia tutto quello che vuole esprimere, tutto, tutto e tutto, compresa l’arroganza, compreso il vituperio, compreso il suo essere blasfemo. Tutto lo si lascia essere, poiché ciascuno è per se stesso niente e non si offende se riceve il vituperio dell’altro, non si esalta se riceve le sue carezze, non si deprime se riceve i suoi insulti, non si sdilinquisce se l’altro dice che è talmente con lui da perdersi in lui. (Da vdc43)
4. Anche l’altro trasmuta
Finché avete una mente che agisce così, non scoprirete mai le mille sfaccettature di ogni essere, mentre ogni essere le ha già dentro come ricchezza e anche come trasmutazione continua nel suo essere anche lui vento che va. Sì, anche l’altro trasmuta, anche l’altro cambia, anche l’altro ha diritto di essere vento che va. E magari non sa neanche di esserlo e vuole essere se stesso; non importa, voi sapete che l’altro trasmuta e che l’altro ha il diritto di trasmutare perché anche lui è vento che va, che ne sia consapevole o che non ne sia consapevole. E poiché l’altro trasmuta, ed è vento che va, voi accetterete ciò che l’altro vi presenta ora così e ora colà. (Da vdc43)
5. Tutto scorre
Se però voi siete vento che va, allora veramente l’altro vi si offre in tutte le sue cangianti e continue sfaccettature, e la profondità della relazione sta nel fatto che voi vi offrite all’altro come cassa di risonanza di tutte le sue mille sfaccettature. Tutto scorre e voi lasciate che arrivi e che poi ritorni all’altro così come è arrivato, però con l’aggiunta di tutto l’amore che deriva dal fatto che voi non avete più niente da esigere, niente da difendere, niente da sottrarre all’altro, niente da impedire all’altro, niente e poi niente!
E allora ciò che arriverà all’altro sarà proprio un rispetto profondo verso il suo essere vento che va; l’altro lo percepirà di volta in volta come passività o come interesse o come rispetto di sé, ma non importa, la ricchezza dell’essere niente e poi niente porta alla profondità che nasce quando non si vuole più trattenere nulla, nulla e poi nulla, neppure la relazione più profonda, cioè quella che voi amate di più.
No, neppure quella, il che non significa non essere attenti all’altra persona, non circondarla di dolcezze, non esprimerle anche il proprio amore, ma vuol dire che tutto questo avviene sull’onda della non aspettativa. E, se anche nell’altro succede la stessa cosa, a quel punto si coniugano insieme un vento che va con un altro vento che va. (Da vdc43)
6. Soli con le miserie della mente
Scomparsa la meta, viene tolto uno degli elementi cardine della mente: il progetto, la direzione, il vincolare l’azione a un possibile premio, che per voi può essere il vostro io o anche il vostro non-io. Sparita la meta, appare lo spazio consegnato al potere della vita, che è quello che vi obbliga a commisurarvi giorno dopo giorno con le miserie della vostra mente, e non perché diventi per voi importante farlo, ma perché il vostro agire vi apparirà così aleatorio e così povero rispetto a prima, che ogni questione evolutiva vi sembrerà insignificante. (Da vdc44)
7. Soffio del Divino
Scomparse le mete, ogni uomo è costretto a misurarsi giorno dopo giorno con la sua povertà, riconsegnato all’essere solo vento che va. Il vento che va è soffio del Divino, libero da un qualsivoglia interesse a costruire per sé un percorso evolutivo e, quando si è vento che va, ciò che si porta nella realtà è solo inconsistenza.
8. Deserto
La messa in crisi di ogni meta, come prospettiva evolutiva, può avvenire soltanto se dentro l’esistenza di un individuo si inseriscono dei momenti di puro accadere, dei quali lui non sa dire nulla e che lo consegnano per un attimo al mistero, anche se, subito dopo, lui ricomincerà a fare azioni guidate dalle sue intenzioni. Quando nella vita umana incominciano ad avvenire fatti rispetto ai quali non si sa che dire e che conducono all’impasse del non riuscire più a essere sedotti dall’impellenza delle mete, in quel momento si apre in quell’essere il deserto.
Ogni deserto interiore s’accompagna a uno sradicamento o anche indebolimento del vostro concetto di meta, che per un umano significa non capire più il motivo per cui fa tutte quelle cose che prima lo arricchivano interiormente, pur non potendo non farle; ad esempio non capisce perché lui resti lì ad ascoltare l’altro, pur con tutti i propri umani limiti e pur non desiderando farlo, anche se con sofferenza, perché non trova in quell’atto più alcun senso, eppure non riesce a non farlo. (Da vdc44)
9. Il silenzio di Dio
In quel deserto interiore sorgono mille dubbi e nuove domande, ma soprattutto nasce in quell’essere la ricerca di un Dio che prima sembrava essergli accanto e che ora non parla più.
Ciò che invece parla è la propria miseria, la propria insufficienza e quella nuova naturalità nell’agire che lui non riesce a spiegarsi.
Questo Divino lo incalza e lui si domanda a che cosa serva tutto quello che lui sta continuando a fare: non capisce dove stia andando, non capisce il proprio agire e non capisce a che cosa serva all’altro quella nuova naturalità nel fare e neanche capisce perché mai lui debba continuare ad agire senza più una meta. Ma Dio non parla e lo lascia lì, dove però Lui è: lì, nel flusso della vita e nella morte della sua mente. (Da vdc44)
10. Vento che va
A voi non dà identità ciò che si basa sulla neutralità di ogni azione, pur sempre portante i vostri limiti; anche le vostre miserie sono neutre, se però non riferite sempre a una meta che vi fa domandare se siano utili o non utili alla meta o se la intralcino o non la intralcino. Ed è in quel deserto interiore che può nascere un’altra forma d’identità che è quella del vento che va, cioè l’identità di essere solo un soffio. (Da vdc45)
11. Fa di me ciò che vuoi
Egli ha appreso che, nel percorso che sta facendo, di quando in quando non si sente più padrone, perché già altre volte gli è accaduto di ritrovarsi in balia di qualcosa che non sapeva bene spiegarsi e che non è la propria emotività, che non è la propria irrazionalità, ma che è soprattutto qualcosa che lo spinge a chinare la testa e a dire: “Sono pronto, fa di me ciò che vuoi”. (Da vdc46)
12. Gli altri, il Divino
In quel deserto interiore scoprirete che gli altri sono il Divino che parla.
E non importa come loro parlano: sono sempre il Divino che parla; non importa ciò che dicono: sono sempre il Divino che parla; non importa come si rapportano: sono sempre il Divino che parla.
Ed è in quegli altri che parla il Divino, non nelle vostre costruzioni concettuali, ma solo lì, indifferentemente da ciò che gli altri dicono, da come lo dicono, da come si comportano o da come si rapportano. Lì c’è il Divino e lì parla, spogliato da tutto ciò che voi avete costruito sopra il concetto o sopra la vostra esperienza del Divino. (Da vdc46)
13. Il Divino nella privazione
Perciò spostate la vostra attenzione e fissatela, non su come l’altro parla, non su ciò che dice, non su come si comporta, ma su quel Divino che trascende tutto questo.
Però questo riconoscimento non nasce perché voi lo volete, ma perché voi lasciate andare e accettate di stare nel deserto e di morire in quel deserto; ma subito non lo riconoscerete, pur sperimentandolo, e per molto tempo lo vivrete semplicemente come privazione.
Ma sarà quella privazione a condurvi in faccia al Divino che è in ogni faccia che incontrate giorno dopo giorno e che voi immediatamente contrapponete a voi, separate da voi, allontanate da voi o accogliete per riempirvene. (Da vdc47)
14. Essere amore
In quel deserto interiore l’uomo, sempre meno se stesso e sempre più incalzato dal Divino, si domanda che cosa sia l’amore – essere amore e dare amore – e che cosa sia l’immedesimarsi negli altri. Essere amore significa arrendersi alla Coscienza o al Divino o al Tutto nel proprio essere niente e poi niente, e quindi significa riconoscersi nella propria inesistenza, nella propria inconsistenza, nella propria nullità e nel proprio sfarsi; quindi essere amore significa sfarsi. (Da vdc48)
15. Annullare amore
Essere amore significa riconoscersi come onda nel fiume che va e che viene sbattuta da una parte e dall’altra delle rive di quel fiume.
Essere amore significa quindi accettare la propria limitazione senza attaccarsi, senza identificarsi, senza reprimersi, oppure anche senza esaltarsi, ogniqualvolta emergono le proprie insufficienze.
Eppure essere amore più radicalmente significa che nulla si è di tutto questo, cioè non si è un’onda e non si è neppure la propria inesistenza, così come non si è niente di tutto quello che l’uomo può pensare e può dire.
Essere amore significa, allora, annullare la parola “amore”. Per voi l’amore alle volte è sentimento, alle volte è operatività, alle volte è indulgenza, alle volte è totale disponibilità, alle volte è quel crudo poter dire agli altri ciò che pensate in nome e per conto del loro bene.
Invece, che cos’è l’amore, quando muore la vostra mente? (Da vdc48)
16. L’amore se non sei
Che cos’è l’amore se l’altro è l’altro e tu non conti?
– Se l’altro è l’altro e tu non conti, allora tutto quello che fai in nome e per conto dell’altro non c’entra niente, ma c’entra per la tua mente.
– Se l’altro è l’altro e tu non conti, allora tutti i sentimenti che tu provi per l’altro non c’entrano niente, ma c’entrano per la tua mente.
– Se l’altro è l’altro e tu non conti, allora tutti i pensieri che fai verso l’altro e che ritieni positivi non c’entrano niente, ma sono parto della tua mente.
Ma se ciascuno di voi viene svuotato di questi vostri concetti, allora non rimane più niente di tutto quello che voi definite, niente di tutto quello che voi sostenete, niente di tutto quello che voi sperate o che vi attribuite.
17. L’irrilevante che tace
Chi è l’altro? Tutto ciò che c’è di rilevante.
Chi sei tu? L’irrilevanza.
E allora perché l’irrilevanza parla e non si mette invece a tacere e ad ascoltare ciò che è rilevante? Ad ascoltarlo tacendo e smettendo di definire l’amore che crede di elargire.
Chi sei tu? L’inesistenza.
Chi è l’altro? L’esistenza.
E allora perché l’inesistenza vuol misurarsi con l’esistenza? Perché non si china all’esistenza? Perché non riconosce l’esistenza? Perché non dice che l’esistenza è ciò che veramente c’è? Perché l’inesistenza vuole produrre atti, pensieri, emozioni, realtà, invece di chinarsi di fronte a ciò che c’è?
18. Il silenzio di un certosino
Il silenzio è ascoltare: non l’aspettativa febbrile di una parola che colpirebbe le nostre orecchie o riempirebbe il nostro cuore, ma una tranquilla ricettività a colui che è presente e che lavora senza rumorosità nel nostro essere più intimo.
Ecco perché si dice che la nostra solitudine è terra sacra, un luogo dove, come uomo con il suo amico, il Signore e il suo servo parlano spesso insieme; c’è l’anima fedele frequentemente unita alla Parola di Dio; c’è la sposa fatta una con il suo coniuge; c’è la terra unita al cielo, la divinità all’umano.
Il silenzio, infatti, coniuga l’assenza di parole, sulle labbra e nel cuore, con un dialogo vivente con il Signore. […] Il frutto che porta il silenzio è noto a chi lo ha sperimentato. Dio ci ha condotto in solitudine per parlare al nostro cuore.
Questo è silenzio: lasciare che il Signore pronunci dentro di noi una parola uguale a se stesso. Essa ci raggiunge, senza sapere come, senza poterne delineare i precisi contorni; tuttavia, la Parola stessa di Dio arriva e risuona nel nostro cuore.” (Un certosino) Fonte
19. Vedersi per non suppurare
Osservarti significa anche vedere cose di te stesso che vorresti poter ignorare, e questo non ti lascia indifferente, perché significa soffrire per ciò che vorresti essere e che, invece, ti rendi conto di non riuscire a essere.
Eppure osservare queste cose rende la sofferenza della loro scoperta superabile, non le lascia a suppurare dentro di te come un bubbone infetto che, comunque, prima o poi scoppierà, inevitabilmente, con ben maggiore sofferenza non solo per te ma anche per chi più ti sta accanto. (Da Cerchio Ifior sf29)
20. L’evoluto
Quando l’Io perde il controllo l’individuo sfugge a tutti gli schemi, diventa poco comprensibile all’osservatore esterno, le sue reazioni e azioni sono poco classificabili sulla scorta dei modelli degli archetipi transitori, ci si trova, cioè, di fronte a un individuo evoluto. (Da Cerchio Ifior sf29)
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Negli eventuali commenti, se necessario, indicate il numero del brano al quale vi riferite.
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Essere vento che va: l’altro lo percepirà di volta in volta come passività o come interesse o come rispetto di sé, ma non importa
Non è importante ciò che l’altro percepisce di noi, è importante ciò che siamo in grado di rendere manifesto del nostro essere
20.l’evoluto
Ecco che sempre più ci si sente fuori dal mondo. Si coglie a volte nell’interlocutore una sorta di disorientamento, come una reazione di paura verso l’imprevedibile.
Il ritrarsi avanza inesorabilmente…
14. Annullare l’amore
Quando muore la nostra mente amore è fatto che accade, vento che va.
Ma Dio non parla e lo lascia lì, dove però Lui è: lì, nel flusso della vita e nella morte della sua mente. (Da vdc44)
Parole fortissime
a volte risuonano
altre volte rimbombano.
Ora, mi pare più chiaro.
Vento che va, l’altro ed io siamo vento che va.
Cade ogni giudizio ed ogni aspettativa.
In realtà è questo che cerco nella relazione.
In questo testo, ho trovato le parole che descrivono ciò che sento e che fatico ad esprimere.
Non che sia totalmente lontana dalle emozioni e immune ai sentimenti di rancore, gelosia, possesso, ecc…
Ma ne colgo il limite, il condizionamento.
Il lavoro personale è incentrato nel superare questi ostacoli che impediscono al vento di fluire naturalmente.
Dal brano 1:
È vero pure che aderire al mistero dall’accadere porta a far cadere il giudizio e una volta sperimentata la leggerezza che ne deriva si innesta un processo a spirale che porta ancora oltre, e le domande sul cammino perdono importanza e consistenza.
Si sta come foglie trasportate dalla corrente del fiume senza chiedersi dove ci depositerà e che ne sarà dopo.
“Tu non sei niente e l’altro è l’altro”.
Qui casca l’asino.
Non sono certa di aver interiorizzato questo concetto. Da lavorarci.
In affetti ad un certo punto di comprensione cade ogni desiderio di andare o essere da qualche parte.
All, “inizio questo disorienta un po’ , poi diventa il quotidiano .
1.
Quando non c’è più ricerca, non si rincorre nemmeno un luogo…l’approdo é ovunque.
Comprendo quando parli del flusso e della rinuncia ad avere una strada.
Eppure oggi vivo l’essere immersi in una vita operativa soprattutto lavorativa.
Ogni giorno ci si chiede anche con documenti formali dove si è e dove si sta andando. E questo convive con una consapevolezza sulla opportunità del flusso libero dall’ingombro identitario.