Le basi della Via della conoscenza. Se l’uomo non scopre il nuovo, non può maturare, però per maturare bisogna accettare che ciò che oggi si è domani non sia, che ciò che oggi si ama domani non sia, che ciò che oggi si pensa domani non sia.
E quindi significa morire al passato e rinascere ogni qualvolta si muore. Per far questo bisogna accettare che oggi voi siete soltanto approssimazione, e, quindi, con quale sicurezza voi potete giudicare voi stessi e gli altri?
[…] Ma se la mente deve tacere e deve parlare la vita, anche le emozioni vanno e vengono, e anche i pensieri vanno e vengono, ed è questo andare e venire che voi non accettate, o accettate quando meglio torna a voi.
Però non accettate che l’essenza dell’esperienza umana sia lasciare andare, e vorreste trattenere e vorreste continuare a giudicare, poiché nel giudicare voi trattenete e ponete al centro voi stessi e poiché nel giudicare voi vi impedite di scoprire tutta l’aleatorietà di ogni vostra scelta, di ogni vostra decisione e di ogni vostra maturazione.
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Allorché si diventa, via, via, meno blateranti nella propria mente, ecco che si apre la vita nella sua singolarità e nella sua universalità, perché la vita è per l’uomo un’esperienza singolare, unica e irripetibile, ma è anche il flusso universale che pone gli esseri dentro lo scorrere, non come soggetti distinti, ma come unità.
E proprio per il fatto che la vita è singola, è irripetibile e, nel contempo, può diventare anche esperienza dell’unità, la vostra mente incontra difficoltà ad accettare che ciò che oggi definisce come caratterizzante se stessa domani non lo sia più.
Ed è questo che ostacola il flusso, ed è questo che vi fa soffrire, cioè è il mollare gli attaccamenti, il mollare le definizioni e il mollare ciò che voi avete costruito.
E continuate a dirvi: “Io devo scoprire ciò che è bene e ciò che è male”, anche quando in voi la definizione di bene e male si è in parte modificata.
Quanta approssimazione in tutto questo, quanta semplificazione, quanta irrealtà! Eppure vi serve ragionare in questa maniera, ma più ragionate così e meno vi aprite alla vita, perché la vita non è racchiudibile in nessuna parola o in nessun concetto.
È uno dei paradossi che incontriamo nel cammino verso l’unità.
Se cominciamo a vederli, ad accettarli, a non voler spiegare tutto solo con la mente scopriamo un modo altro e forse migliore di vivere la vita.
Boh!
I Ricchi e Poveri cantano, con malcelata malinconia, che “tutto passa e tutto se ne va”.
Infatti è esperienza comune che ciò accada, fisiologicamente.
Ma quanto dentro di me ho veramente lasciato andare: quell’affetto, quel caro deceduto, quel progetto, quella passione, ecc. e quanto ho invece bisogno che persista dentro di me per darmi sostanza?
Per converso sappiamo che ogni fatto, in qualche modo, si inscrive nella coscienza, plasma il sentire, per cui possiamo ben affermare che: “tutto resta e niente se ne va”.
La nostra storia, la memoria, le esperienze fatte, sono un bene prezioso. In qualche modo nutrono e costituiscono le nostre persone, checché se ne dica.
Il lasciar andare non è dimenticarsi le cose ma è un atteggiamento interiore, di non restarvi attaccato, di non lasciarvisi condizionare, di non identificarsi con esse.
Quindi, tenerne conto, più o meno consapevolmente, oltre che essere inevitabile, è una benedizione ma lo è nella misura in cui le esperienze pregresse non costituiscono una gabbia, un perimetro che ostacola la nostra attuale manifestazione che purtuttavia, non può prescindere dalle esperienze stesse.
Parmi.
Mi sovviene l’immagine di una sinusoide.
Paragono la salita alla ricerca, l’apice alla parziale comprensione , infine la discesa al lasciar fluire.
Moto senza fine.
Queste parole azzerano tutto, le leggo e qualcosa si dissolve. Eppure è vero, continuo a ricercare ciò che è bene e ciò che è male e a non aprirmi alla vita.
E questo che ostacola il flusso, ed è questo che vi fa soffrire,cioè è il MOLLARE gli attaccanti,il MOLLARE ciò che voi avete costruito.