Le basi della Via della conoscenza. Che cos’è l’ardore o che cos’è l’assenza di ardore nell’uomo comune e nell’uomo che è diventato non-mente? L’ardore è una spinta che nasce dal desiderio e dalla presunzione di poter modificare, invece il non ardore è l’assenza di desiderio e di pulsione, ma né l’uno né l’altro appartengono all’uomo che è andato al di là della mente.
Ardore e volontà, cioè voler tutto modificare, tutto cambiare e tutto trasformare. Nella vita di un uomo che è andato al di là della mente non c’è in alcun modo la possibilità di porre l’ardore come motore della propria azione, perché non c’è desiderio, perché non c’è motivazione, ma solo ciò che accade.
E allora l’ardore serve all’uomo in cammino verso la non-mente per fargli sentire che dentro di lui qualcosa urge, e la parola “urge” serve a voi per farvi capire che dentro di voi c’è ancora una motivazione, c’è ancora un desiderio, c’è ancora un agognare a una meta o a un risultato.
L’uomo, che è giunto alla non-mente, lascia che l’ardore, la volontà e la pretesa di modificare si seppelliscano nel proprio passato, e anche la parola “passato” muore in lui, come anche la parola “futuro”, e resta solo ciò che accade.
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Se muore il passato e muore il futuro, e se ciò che si mantiene è soltanto il presente, e nel presente soltanto ciò che accade, allora a che vi serve cambiare? A nulla vi serve dire a voi stessi e agli altri: “Io posso modificarmi”, oppure “Il mondo deve trasformarsi”.
Ciò che è necessario è stare fissi lì, nel ciò che accade, e spaziare, senza mai spostarsi, dal ciò che accade, e non pretendere di modificare ciò che accade – e quindi il mondo – ma lasciare che ciò che accade plasmi e riplasmi la propria mente e faccia sì che muoia per far apparire ciò che va oltre, la non-mente.
Se uno sta fisso nel ciò che accade e accetta il ciò che accade, tutto ciò che fuoriesce dall’accadere non significa più nulla. E a nulla vale allora affermare che il mondo deve essere sradicato dall’attuale sua malvagità, ma basta soltanto dire che il mondo è ciò che è, poiché nel ciò che è viene colta l’essenza e non la superficie.
Se ci si ancora al ciò che è, non si colgono fatti dopo fatti o avvenimenti dopo avvenimenti, e non si coglie il succedersi e l’alternarsi dei sentimenti, delle emozioni e delle volontà diverse di singoli soggetti, ma si coglie l’essenza dei fatti, degli avvenimenti, dei sentimenti e delle volontà, anche se la propria mente continua a scappare dal ciò che è e anche se nell’agognare già c’è una spinta che non appartiene alla non-mente, ma che tuttavia porta alla non-mente. Se accade questo, allora non c’è più nulla da fare, solo non agire, pur agendo.
L’oscillazione dal mente alla non-mente è in relazione al compreso raggiunto: maggiore comprensione minore oscillazione tra le disposizioni, fino alla comprensione che entrambi sono ciò-che-è.
La perdita del desiderio e della motivazione fanno parte e rappresentano una stagione dell’umano vivere. Passo dopo passo sorge questo stato che se visto in modo superficiale sembra togliere senso alla vitastessa: in realtà non è altro che una costrizione a guardare oltre, a trasformare in senso ciò che fino a quel momento non stava in primo piano.
Nasce attrazione verso i contenuti dello scritto perché in qualche modo e tempo ho fatto esperienza della non mente. Simultaneamente nasce sgomento e paura perché non sono pronto a tale approccio. C’è in me un opposizione, un certo grado di rifiuto ad aderire alla modalità non mente. Che sia un tranello della mente che mi imprigiona? Può darsi ma finché c’è ne prendo atto e resto disposto a sperimentare la non mente solo in modo residuale, come esperienza da circoscrivere agli incontri spirituali o sessioni meditative, da usare come apripista ma per il resto non ho fede e sto almeno con un piede e mezzo sul conosciuto.
Capisco il contenuto del post, tuttavia nell’accettare il ciò che è, si transita da mente a non mente e viceversa finché ancora si ha una mente, anche se meno attiva di un tempo.
Sembra che ostinarsi a volersi modificare amplifica ed esalta i propri limiti, quasi a indicare che attraverso la volontà e l’agire si resta imbrigliati un circolo vibratorio senza via di uscita, dove si ripropongono fatti che a prima vista hanno esaurito ogni ragione di essere, ma non siamo pronti a lasciare andare.