L’architettura di un’abbazia non è lasciata, per fortuna, all’immaginazione dell’architetto. Essa deve essere funzionale.
Deve necessariamente comprendere un certo numero dì edifici la cui disposizione è in qualche maniera predeterminata non solo dal materiale di base, la natura e la disposizione del terreno, ma anche dalle esigenze di una vita comunitaria di un tipo molto particolare, dagli imperativi di una spiritualità già stabilita, dalla necessità della liturgia, e dall’esigenza di essere «leggibile» (libro, abbecedario della fede, insegnamento, morale, illustrazione, codice disegnato) e nello stesso tempo di evocare il mistero e il trascendente.
Ci troviamo di fronte a dei duri maestri che non lasciano alcuno spazio alla fantasia. Del resto la volontà di creare dell’originale a tutti i costi non esiste affatto nel medioevo, almeno coscientemente. L’ideale è di mantenersi fedeli al piano che ha già dato dei buoni risultati altrove. Da qui le filiazioni facilmente individuabili e le originalità profonde. Quel che più stupisce in assoluto è che questo gigantesco e secolare sforzo architettonico sia sfociato, si potrebbe dire sistematicamente, nella creazione di migliaia di capolavori. E questo anche negli edifici più umili e più funzionali: la cucina (Alcobaça), il refettorio (Fossanova), il riscaldamento (Sénanque), il lavabo (Maulbronn), l’infermeria (Musch Wenzock), la sala del capitolo (Eberbach) e così via.
Io lascio da parte, volutamente, le costruzioni «spirituali», la Chiesa, la cripta, il chiosco dove risalta, con una violenza quasi insostenibile, una fede esigente, assoluta, totale, nei suoi appelli e nelle sue affermazioni, insuperabile.
Questo fiume di bellezza non ha smesso di scorrere per secoli interi attraverso tutta l’Europa, dalla Vistola al Guadalquivir, dalla Scozia alla Siria. Ci vorrebbero chissà quante pagine solamente per elencare i capolavori che questo fiume ha lasciato dietro di sé sulla terra. Bellezza indicibile che ci commuove ancora oggi fino nei ruderi tragici di Cluny, Rievaulx o di Villers-la-Ville e la cui assenza, da quasi due secoli, si fa così crudamente sentire nelle architetture del mondo moderno, siano esse religiose o profane.
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Donde viene questa bellezza? Come spiegare questo flusso inesauribile, e sicuro come un istinto, di monumenti di una tale perfezione tecnica e spirituale? Per me non c’è altra spiegazione che quella di Regine Pernoud: «In tutto il periodo medievale… l’arte non è tagliata dalle sue origini… il suo linguaggio esprime il sacro (la sottolineatura è mia), il trascendente in questo linguaggio secondo che è l’arte in tutte le sue forme».
È per questo che il refettorio non ha niente a che vedere con le tristi mense moderne, né la sala del capitolo con la sala di un consiglio d’amministrazione, né il chiostro con i corridoi di un palazzo di giustizia.
Tutti questi edifici hanno un’anima, esprimono un messaggio, traducono uno stile di vita.
Per secoli, ciascuno a suo modo, essi hanno cantato la gloria di Dio e permesso agli uomini che si votano a Lui di vivere da uomini.
Simili e diversi, evolvendosi nei secoli per rispondere agli stessi bisogni, umili resti, rovine sontuose, vestige luminose di un passato secolare, pietre viventi fin nella morte, questi edifici sparsi in tutta l’Europa attestano al di là della barbarie dei tempi e degli uomini, al di là dell’ingiusto disprezzo del Rinascimento e dell’epoca classica, l’irreprensibile volontà dei religiosi di vivere pienamente il loro destino, secondo la visione del mondo elaborata dalla loro fede.
Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Léo Moulin, La vita quotidiana secondo San Benedetto, Jaca Book editore, 1980.
Il perpetuato passaggio in quegli ambienti di uomini di fede e dedizione, permette anche a noi, in questi giorni, di sentire quella vibrazione.
“Tutti questi edifici hanno un’anima, esprimono un messaggio, traducono uno stile di vita. Per secoli, ciascuno a suo modo, essi hanno cantato la gloria di Dio e permesso agli uomini che si votano a Lui di vivere da uomini.” Illuminante questo passaggio. Questi edifici sono generati da quella vibrazione che è la sintesi e lo sforzo, da parti di alcuni uomini, di vivere l’archetipo permanente del Monaco, di vivere dedicando la loro esistenza alla relazione con l’Assoluto relativamente al loro sentire. Quella vibrazione comune sorregge e pervade quelle architetture in tutti i suoi angoli, anche e soprattutto in quelli più umili, come i dormitori e le cucine. Questo spiega perché in un mondo secolarizzato e anticlericale questi luoghi catturino schiere di atei e siano da quest’ultimi bramati e cercati: perché quello che esprime quell’architettura va al di là degli archetipi transitori messi in campo dalle religioni e intercetta un aspetto universale che in tutto l’umano risuona.