Al primo posto tra gli «ufficiali» (oboedinttiarii) che sono incaricati di aiutare l’abate a governare i monaci e ad amministrare i beni del monastero c’è il priore. Sarebbe eccessivo dire che questo «funzionario» goda dei favori di Benedetto. In realtà il patriarca non lo vuole.
Egli scrive: «nel caso che l’ambiente lo esige, o la comunità lo domanda con ragione, e umilmente, e l’abate lo ritiene opportuno (è evidente che san Benedetto moltiplica i se), l’abate, preso consiglio dai fratelli che temono Dio, si scelga egli stesso il priore che vorrà nominare» (c. 65, 31-36).
Egli precisa subito: questo priore eseguirà «con rispetto» tutto ciò che gli sarà ordinato dall’abate, non farà niente contro la volontà e gli ordini dell’abate, osserverà tanto più «accuratamente» i precetti della regola quanto più è stato elevato al di sopra degli altri.
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Decisamente non è qui il cuore di san Benedetto. Del resto come inizia il capitolo che stabilisce l’istituzione del priore? Le parole scandalo, superbia, tyrannides, dissensiones, invidiae, rixae, detractiones, exordinationes, ecc…, vi abbondano fin dalle prime righe. E solo dopo aver lungamente (c. 65,1-31) denunciato i gravi pericoli che comporta la designazione di un priore, Benedetto accetta – abbiamo visto con quali riserve – di procedere alla scelta del suo secondo.
Ma subito dopo egli riprende la litania delle sue aspre osservazioni: «Se questo priore sarà trovato vizioso, o preso da spirito di superbia per la sua nomina (a priore) o convinto di disprezzo per la santa regola»… egli sarà ammonito quattro volte. E se egli non si corregge, sarà deposto. Ancora: se, dopo questa punizione, non se ne starà «tranquillo e obbediente» (c. 65, 51), sarà cacciato dal monastero.
La divisione dei poteri non incontra dunque i favori di Benedetto (c. 65, 7-16). Egli preferisce che «l’organizzazione del monastero dipenda dall’abate» e da lui solamente (c. 65, 26-27, in abbatis pendere arbitrio) e che i poteri da delegare siano divisi tra più persone (c. 65, 30), di modo che nessuno di loro abbia l’occasione di inorgoglirsi ( ut dum pluribus committitur, unus non superbiat), In realtà, si ha un po’ l’impressione di assistere a un regolamento di conti. Benedetto ha dovuto fare delle esperienze negative in questo campo, il suo modo di affrontare l’argomento lo prova a sufficienza.
E del resto egli diffida del priore poiché raccomanda all’abate (c. 65, 54-55), trattando col priore, di non dimenticare mai che «la sua anima può accendersi forse del fuoco dell’invidia e della gelosia» (ne forte invidiae aut zeli urat animam).
Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Léo Moulin, La vita quotidiana secondo San Benedetto, Jaca Book editore, 1980.
Grazie.
Non conoscevo la differenza tra “abate” e “priore”. Grazie.
Interessante leggere come Benedetto, diffidi del priore, e come sembra voler potenzialmente vedere in questa figura più “vizi” che in qualsiasi altro monaco.