Sarebbe un grande errore credere che un monastero era abitato solamente da monaci. Anche oggi vi si trovano delle persone che non sono per niente impegnate con il legame dei voti nei confronti della casa dove esse vivono, temporaneamente o stabilmente.
Studenti, ricercatori, persone in ritiro, sacerdoti che vengono a riciclarsi o a riposarsi, familiari sono tutta gente che fan parte della familia monastica; scolari, coppie per «ménages mixtes», dice curiosamente una notizia relativa alle attività dell’abbazia di Ligugé.
Nel Medioevo l’abbazia brulicava di persone che non erano religiosi: fratelli laici (di loro dirò qualcosa di più in seguito); artigiani; servi che, in cambio del loro lavoro, partecipavano alle preghiere e alle buone opere del monastero e in questo modo avevano qualche garanzia per la loro salvezza personale; servi volontari, uomini liberi, impegnati nei confronti dell’abbazia da un legame di servaggio personale e dalla prestazione di un censo annuo; affrancati e coloni, terziari di un pezzo di terra monastica; prebendari – vedovi, infortunati sul lavoro, servitori invecchiati, veterani più o meno validi – che, in cambio della donazione dei loro beni o dei piccoli servizi che essi potevano ancora tendere o perché usufruivano di un beneficio chiamato «pane dell’oblato», ricevevano una pensione alimentare (nutrimento, vestiti, alloggio e qualche moneta); operai salariati, apprendisti, scolari; fanciulli «offerti» dai loro genitori all’abbazia; oblati chiamati anch’essi «offerti», «donati», «votati», «resi», laici che si erano offerti essi, il loro lavoro e i loro beni al monastero, che promettevano obbedienza all’abate, ma conservavano la loro libertà giuridica, ecc.
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L’economia interna dell’abbazia suppone la presenza attiva dei monaci professi, cioè dei monaci che hanno pronunciato i voti di religione nel corso di una cerimonia solenne. I professi sono assimilati ai chierici: all’origine i sacerdoti erano rari tra di loro. Ma molto presto, e in ogni caso a partire dal X secolo, una gran parte dei monaci accedette agli ordini sacri.
Vi si trovavano anche dei novizi, dei conversi o domestici, monaci entrati adulti in monastero e dì conseguenza il più delle volte analfabeti. All’inizio essi non erano dunque dei religiosi a pieno titolo, venivano affidati loro soprattutto lavori manuali e le loro preghiere erano più brevi; ma alla fine dell’XI secolo essi furono ammessi a pronunciare dei voti senza per questo divenire monaci nel senso pieno del termine: conversos… qui monachi non sunt post professionem factam, scrive Innocenzo II a un abate nel 1142. Anche se per il vestito (con delle differenze minime, ma percettibili), il cibo, le cure in caso di malattia essi erano trattati nello stesso modo.
Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Léo Moulin, La vita quotidiana secondo San Benedetto, Jaca Book editore, 1980.
Interessante notare come all’inizio i monaci non tutti i monaci accedevano agli ordini sacri e dunque non entravano nelle gerarchie della Chiesa.
Immagini che evocano fermento
Interessante.
Molto interessante scoprire che i monasteri di allora erano un luogo più laico di quel che mi appaiono ora.