È possibile una partecipazione alla vita, nelle mille situazioni, senza identificazione?
Se guardiamo la realtà dal punto di vista dell’identità tutto è esserci, protagonismo, definizione di sé, marcatura del confine con l’altro. L’identità afferma sé e il proprio diritto a esistere e a essere riconosciuta: esiste se è riconosciuta e se può manifestarsi in quanto tale.
Quindi, da questo punto di vista, la partecipazione è difficile che si sposi con il distacco, i due appartengono a mondi lontani. Se l’attore è identificato con la parte, la parte è l’attore: personaggio e attore si confondono.
Ma se il regista e l’attore hanno una buona confidenza e hanno discusso a lungo del personaggio, ovvero della rappresentazione da incarnare; se l’attore ha compreso la sua piccolezza di fronte al miracolo del condurre a manifestazione; se, sempre l’attore, ha una buona conoscenza di sé e confidenza con le dinamiche e le problematiche della regia e della messa in scena in generale, può accadere un’esperienza particolare: l’attore si lascia attraversare dall’intenzione del regista e, nel tempo e nello spazio, conduce a manifestazione il personaggio vedendone i modi, le complessità, le cadute, le piccole grandezze.
- Ryokan e altri contemplativi, canale Telegram
- Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
- Link a contenuti importanti e inediti del Sentiero contemplativo
- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro l’Essenziale, revisione 2023, capitoli 1, 2, 3 fino a Meditazione, PDF ed EPUB
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
Simultaneamente l’attore/consapevolezza sente la spinta a monte e osserva la manifestazione a valle: consapevole della sua piccolezza e relatività, è centro di saldatura tra il vasto e il limitato; del vasto che si specchia nel limitato.
L’attore/identità non è di ostacolo perché non ha la brama di esserci: è quella che definiremmo un’identità leggera o, se preferisci, un residuo d’identità.
Più l’identità è radicata nel proprio bisogno di esserci, più il protagonismo è velo, diaframma; più l’identità è raffinata dalla conoscenza dei suoi processi e illuminata dalla consapevolezza, più è trasparente ed elemento di giunzione.[1]
Quindi la qualità della partecipazione dipende dalla consistenza dell’identità.
E la non identificazione, la neutralità come diciamo noi, che esperienza è della realtà?
La non identificazione è il gioco: ho compreso che cosa avviene sul set. Attore fino in fondo, regista fino in fondo, personaggio fino in fondo.
Che cosa significa fino in fondo? Senza niente da perdere e niente da guadagnare.
Attore? Regista? Personaggio? Tutti giochi delle parti! Quando hai compreso che è tutto un gioco delle parti, sei oltre la parte.
Perché agisci? Perché c’è uno stimolo, non perché ne hai necessità. La non identificazione genera la libertà, è uno dei fattori generanti, e la libertà non comporta necessità. Hai bisogno di qualcosa? C’è un momento in cui a questa domanda non segue risposta perché l’essere ha compreso che a tutto provvede la vita. Approfondiremo questo tema più avanti. Dal libro L’Essenziale.
[1] Colei che rende consapevole il processo, lo stato. Specchio del sentire.
Tutti i post ‘Le basi del Sentiero contemplativo’
NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
La consapevolezza richiede il gesto dell’attivarsi, della volontà, almeno all’inizio e quindi può non essere sempre presente
La neutralità è invece una nuova pelle con cui ci si trova rivestiti.
Se consideriamo che regista, attore, protagonista, non sono tre ma uno solo (la suddivisione in tre è solo a scopo pedagogico, scolastico), possiamo raccontarla anche con altre parole. È come se tre fossero non i soggetti, bensì i livelli di profondità da cui vivere la vita. Un primo livello, quello più in superficie, è quando mi identifico completamente nella scena che sto vivendo. Credo sia un approccio attivato dagli stimoli più “bassi”, dagli istinti primordiali di sopravvivenza o di riproduzione o similari. Potrei fare le cose più bizzarre sentendomi minacciato nella mia esistenza: il gladiatore che deve uccidere per salvarsi. Un secondo livello è quando non sono alle prese con situazioni così coinvolgenti o, se lo sono, ho maturato un sentire più ampio per cui ho la possibilità di staccarmi un attimo, di vedere meglio la scena e, se proprio sono ancora gladiatore, posso fermarmi qualche secondo prima di sferrare il colpo mortale. Secondi nei quali posso considerare anche la possibilità di non farlo e di farmi uccidere ad es. Poi vi è il livello più profondo, nel quale, mentre vivo la scena, cerco di ascoltare il mio interiore, la voce della mia coscienza e, se sono ancora gladiatore, posso decidere di uccidere me stesso prima ancora che scendere nell’arena. Credo che più si amplia il sentire e più si avverte il richiamo ad ascoltare la voce profonda e viceversa. In modo tuttavia fluido per cui in una singola vita posso sperimentare tutti i livelli di profondità. Messa in questo modo, non è più questione di identità più o meno ingombranti, anche perché le coscienze tendono a scegliersi i corpi più adatti alle esperienze di cui abbisognano nelle singole incarnazioni, bensì di sentire più o meno sviluppati che portano l’attenzione ai diversi livelli. Non quadra tutto nemmeno così però, lo so, sono semplici pennellate.
A Samuele
Vanno bene le pennellate perché ogni contributo creativo è una grazia. Va bene tutto quello che è contributo creativo teso alla conoscenza e comprensione. Nessuno di noi ha la verità, tutti portiamo semi e alla fine quello che conta è proprio il gesto del coltivare il seme insieme agli altri. Contadini di uno stesso campo lo rendiamo sempre più fertile.
Quanto ci ho messo ad accettare e comprendere che siamo attori in scena e che non è opportuno identificarsi, bensì lasciarsi indirizzare dal regista, e recitare la parte senza colorare le scene. Non protagonisti ma strumenti neutrali degli imput della Coscienza.