Protagonismo nella vita e neutralità [sentiero8]

A un certo punto, l’esporsi nella vita non corrisponde più al bisogno di esserci, ma è semplicemente una consapevole manifestazione dei propri limiti messi al servizio della propria e altrui comprensione? E le espressioni dell’identità non svaniscono, ma si assottigliano e diventano sempre più evidenti?

L’esporsi è la piena accettazione e manifestazione del vivere: l’idea diffusa che la persona con una certa ampiezza di sentire sia fondamentalmente spettatrice dei processi essendo non condizionata da emozione e pensiero, è una considerevole sciocchezza: più è ampio il sentire, più c’è presenza nell’esistere.

Non ho detto “più si è presenti nell’esistere” ma “più c’è presenza nell’esistere”; c’è una presenza impersonale, neutra, dove questo termine non significa asettica e indifferente, ma semplicemente non condizionata.

Molta, di questa partecipazione, avviene rispondendo all’impulso della vita, alla sua sollecitazione e domanda. Cambia la modalità della partecipazione: il protagonismo porta l’identità a creare sempre nuovi teatri di manifestazione; la neutralità conduce a rispondere a un invito.
Nel protagonismo siamo pieni di noi e dei nostri bisogni; nella neutralità al centro c’è il bisogno dell’altro e l’assecondare un progetto/processo della vita.

È così vaga l’idea che abbiamo di un sentire evoluto che spesso pensiamo sia identificabile con il comportamento di quei ‘maestri’ che si dedicano all’insegnamento e appaiono ieratici, calmi, traboccanti parole di saggezza, lontani dal limite dell’umano.
È un’immagine infantile che si genera nella mente del ‘discepolo’ e che, non di rado, è alimentata dai comportamenti funzionali dei ‘maestri’. Il tutto secondo logiche ripetute, stereotipate, efficaci proprio perché riconoscibili e prevedibili; quello che io, normalmente, chiamo il circo.

La nostra ignoranza sulla costituzione umana ci porta a non saper riconoscere l’azione della coscienza: siamo così impregnati dello schema mente-emozioni che quasi mai teniamo conto che c’è un altro fattore, determinante, che cambia tutte le regole del vivere, inverte le priorità rendendo marginali noi e centrale la vita.

Siamo pieni di ciance sui maestri illuminati e non riusciamo a distinguere il respiro della vita autentica che pulsa nell’operaio che lavora al nostro fianco in officina.
Come sempre, l’idea della realtà che coltiviamo ci impedisce di vedere la realtà che è: l’idea del Cristo (o del Buddha) che abbiamo coltivato vela e ottunde l’essere del Cristo che splende nel sentire. Dal libro L’Essenziale.

Tutti i post ‘Le basi del Sentiero contemplativo’
NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.


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Catia Belacchi

Dire che si è d*accordo è banale perché bisogna aver fatto esperienza di quello che dici, tuttavia so da un po’ cosa è la neutralità di fronte ai fatti. Non ti senti più protagonista ma cerchi di essere attento ai fatti che accadono e intervieni, in modo discreto se questi ti chiamano.

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