Cerco di approfondire qui quanto affermato in Collatio. Smarrito è chi non sa più leggere quanto gli accade e può essere travolto dai suoi moti interiori, o disorientato al punto tale da avere una percezione incerta dell’accadere.
La persona della Via può conoscere momenti di confusione, di stress derivati da sovraesposizione e sbilanciamento, momenti dunque difficili e critici nella percezione di sé e del reale ma, se si osserva attentamente, e se non è una neofita, si accorgerà che non è mai smarrita totalmente.
L’assiduità con la connessione interiore, l’attitudine all’ascolto del sentire hanno creato in essa un substrato di consapevolezza tale da non essere azzerabile: anche nella difficoltà e nel tumulto permane quello stato d’essere che la riconduce comunque alla Sorgente.
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Non sto sostenendo una tesi, ma esponendo un’esperienza. Ammetto che per vivere a questo livello di connessione serva esperienza consolidata e profonda della connessione stessa, esperienza che non possiede chi becchetta nella Via.
Quando dell’unità si è fatta duratura esperienza, non è possibile tornare indietro, non si può dire a una persona così: “Vivi come vivono tutti, goditi il momento come fa l’ignaro”.
Quella persona non è più come tutti, ha subito una mutazione antropologica che è divenuta consapevolezza nuova ed estesa di sé, dei fatti, delle reazioni, delle dinamiche dell’identità e dei corpi.
Quella persona non si ‘gode’ un momento, vive l’unità di quel momento, sono due livelli d’esperienza completamente differenti, e vive quell’unità anche quando è turbata o stressata perché nello stress, o nel disorientamento, non può perdere ciò che è divenuta, la consapevolezza unitaria acquisita che oramai la costituisce e che in nessun modo può silenziare.
Anche nei passaggi difficili, quando i corpi dell’identità sembrano zavorrarla, o annebbiarla, o renderla apatica e vuota, ciò che è divenuta per comprensione conseguita, per unità sperimentata, non viene meno: è lì, appena oltre il velo e salda è la sua mano.
Quella persona non conosce lo smarrimento comune a tanti e non ‘gode’ la vita come la ‘godono’ coloro che vivono nell’illusione.
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Ho sperimentato e continuo a sperimentare quanto affermi sia in momenti dolorosi che in quelli più sereni. Quando acquisisci una visione che diventa un modo di essere nel mondo ogni esperienza gli sottostà. È un colore di fondo su cui si dipinge la tela.
Per esperienza, posso affermare di riconoscere quello stato d’essere che sempre riconduce alla Sorgente. Grazie.
“Anche nei passaggi difficili, quando i corpi dell’identità sembrano zavorrarla … ciò che è divenuta…. non viene meno” È così, ma per esperienza direi che di grande aiuto sono, per non smarrirti nonostante il compreso, tutti i fratelli che procedono con te.
“Quando dell’unità si è fatta duratura esperienza, non è possibile tornare indietro.” Condivido l’idea che “non si possa più tornare indietro” rispetto a un sentire acquisito e dunque rispetto a una data consapevolezza dell’unità. Ma nella mia esperienza quella unità è qualcosa anche di “fragile”, “sottile”, che va in qualche modo “preservato” attraverso un certo modo di essere nella quotidianità. Ammetto che non sempre quella consapevolezza è chiara, ma so anche che poco più in là del velo posto da paure e bisogni dell’identità.
Certamente è valido il discorso della cella esistenziale, ma qui mi premeva sottolineare l’impossibilità del ritorno indietro e la necessità di avere occhi per vedere aldilà del guazzabuglio che possiamo attraversare.