Riconoscere l’identità come veicolo, familiarizzare con la messa in scena, lasciarsi portare dalla vita che accade, tutto questo porta con sé, nel tempo, dei momenti di chiara visione, di sospensione, disconnessione, vuoto/pieno, presenza. Puoi spiegare questi momenti e la loro funzione, se c’è?
Tu sai che tutto, veramente tutto nella vita, appoggia sull’accettazione di sé. In ambito “spirituale” non sempre c’è stata saggezza, sia in occidente che in oriente, senza distinzione. La visione basata sulla colpa e sul peccato in occidente; il conflitto con l’identità/mente in oriente, sono solo alcuni esempi.
L’identità parla semplicemente dell’ampiezza del sentire che la esprime e del lavoro esistenziale in cantiere. L’identità è l’aspetto più visibile, e quindi anche più approssimativo, del percorso esistenziale di una persona: osservando il corpo, le emozioni, i pensieri, le scene di vita nostre e altrui, possiamo comprendere molto in merito al “cosa stiamo a fare qui”.
La forma è sostanza: tutto parla dei processi, della coscienza, del cammino che conduce a Uno.
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Osservando il mondo con gli occhi della coscienza diventano evidenti molti perché, molti comportamenti, molte scene esistenziali di singoli e di popoli, del pianeta stesso.
Tutti i perché vengono rappresentati, messi in scena, perché nella dimensione del divenire un sentire non può che assumere una forma e articolarsi in una rappresentazione.
La persona che diviene consapevole di sé e che pone al centro dell’esistere questa consapevolezza, ha la possibilità di entrare nel ventre della vita:
- vede l’identificazione e i suoi processi;
- non la coltiva, lascia che fluisca, che sorga e scompaia secondo un ritmo naturale;
- costantemente ritorna al presente, a quel che la vita presenta adesso e lascia che l’adesso di un attimo fa scompaia; non lo trattiene, niente trattiene.
Osservazione, disconnessione, spazio.
Dal ritmo osservazione-disconnessione sorge uno spazio: nell’identificazione non c’è spazio, se non raramente, c’è costipazione, c’è ansia di vivere, di esserci, di senso.
L’osservazione e la disconnessione, se attuati non con la logica dello stacanovista ma nella quieta accoglienza delle proprie limitate possibilità, determinano un “detendersi”, un allentarsi della pressione dell’identità: osservando e disconnettendo si relativizza la centralità “dell’io sono” e si pone al centro il “lascio andare”.
Le conseguenze sono estremamente rilevanti: sorge quello spazio e con esso quel non condizionamento che permette di vedere il gioco dell’identità, propria e altrui, ma di non esserne catturati. Più viene praticata questa disposizione, più si insedia come costante dell’esistere: spazio dopo spazio le dinamiche dell’identità vengono relativizzate e l’essere risiede sempre più continuativamente nel sentire, nel non condizionato.
Se osservi, giungiamo alla libertà attraverso il condizionamento, in virtù del condizionamento. Osservando l’identità, l’immagine di noi, ne vediamo il limite e, in certi momenti, l’insostenibile inadeguatezza. Questo ci spinge non al conflitto interiore, ma a indagare una possibilità di essere altra, che realizziamo attraverso il ritmo osservazione-disconnessione.
Prima l’identità è lo specchio e il quaderno degli appunti su cui il nostro sentire in itinere viene appuntato, poi diviene il pungolo di un’esigenza più grande: sempre è il fantasma col quale dobbiamo fare i conti, il mediatore che dobbiamo vedere, accogliere quietamente nel suo limite e lasciar andare affinché il nostro cammino ci conduca oltre esso. Dal libro L’Essenziale.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
“…quieta accoglienza delle proprie limitate possibilità, determinano un “detendersi””. Accettazione di sé, accoglienza, lasciar fluire, osservando: una buona novella e un programma per la vita intera. Grazie.
In questa ottica, l’identità diviene un’opportunità. Senza la manifestazione dell’identità non comprenderemmo i nostri limiti, il lavoro da fare, l’ampiezza del sentire conseguito. L’identità come pungolo, punto di partenza per andare oltre essa.