Possiamo quindi dire che il processo di apprendimento è caratterizzato da una crescente armonia fra intenzione e azione, fra coscienza e identità? Che nel processo di apprendimento avviene il progressivo affievolirsi dell’identità che ha in un primo tempo dovuto strutturarsi, definirsi, per poter essere veicolo di esperienza?
A nulla servirebbe, nella dimensione dello spazio e del tempo, la coscienza che non avesse i veicoli espressivi che poi generano l’identità e attuano le esperienze. Ci sarebbe un’intenzione ma tale rimarrebbe. Tutta la vita così come la conosciamo su questo piano di coscienza è dovuta alla mediazione/creazione operata dalla mente/identità: dal foglio bianco la mente estrae la forma e la anima sulla base delle informazioni e delle direttive che giungono dalla coscienza.
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Potremmo, per semplificare, paragonare la mente/identità a un computer: l’operatore/coscienza imposta delle operazioni che poi il PC esegue a seconda del sistema operativo installato, condizionato dalla qualità del processore, dalla presenza di eventuali malware o virus, dalla velocità della connessione internet, dall’azione dell’antivirus o del firewall o da altro.
Il computer/identità ha una relativa autonomia nell’eseguire i processi impostati dall’operatore/coscienza: quella relativa autonomia è anche relativa autoconsapevolezza che induce un senso di essere, di esserci, di esistere.
La risultante è che il computer/identità afferma: io sono, ho un nome, ho un confine. Riconosco che ricevo impulsi dall’operatore/coscienza ma attribuisco grande valore al mio esserci perché senza di esso nulla sarebbe: il computer/identità in virtù della sua composizione (mente-emozione-corpo) e del transito continuo di dati dalla e verso la coscienza, sviluppa questo livello di autoconsapevolezza.
Essenzialmente attraverso un gioco di riflessi l’identità si sostanzia della realtà che ha contribuito a creare – e questi le rimandano un’immagine, dei dati che la definiscono, la contornano, la configurano. “In virtù dei contenuti che mi appartengono, io sono.”
Anche la coscienza si specchia nei suoi corpi inferiori ma la sua affermazione è diversa, essendo diversamente strutturata: “In virtù delle esperienze che conduco, sento.”
Non ‘sono’, ‘sento’. ‘Sono’ è una definizione, ‘sento’ è una sintesi, una connessione di livelli, un ponte tra livelli d’esistenza.
La coscienza connette l’intenzione prima, quella che le giunge dall’Assoluto, con la consapevolezza del sentire che la struttura e genera la realtà attraverso i corpi transitori di cui l’identità è il frutto. Unisce l’alto col basso e tutti gli elementi dell’esperienza. La mente/identità è il gesto del tagliacarte che estrae una forma dal foglio bianco: non unisce, non collega, separa.
Questo per sua natura, sua meccanica: se così non fosse non potrebbe creare il molteplice.
In una certa fase del processo di creazione della realtà, l’identità ha un ruolo importante, essa deve essere strumento affidabile, efficace a disposizione della coscienza. Più si affina e struttura il sentire più questo dà luogo a una identità fluida: la coscienza costantemente cerca il mezzo più idoneo per realizzare i propri bisogni di esperienza e di comprensione. Di vita in vita plasma i suoi veicoli secondo le sue necessità.
Questa è la ragione per cui l’educazione ha così tanta importanza. L’educazione forma e struttura i veicoli dell’identità, l’immagine di sé, il modello interpretativo che poi si userà per tutta un’esistenza. Più l’identità è plasmata secondo i valori della ricerca, della tolleranza, della collaborazione, più è strumento docile.
Più è condizionata da un modello culturale basato sull’egoismo, sulla competizione, sulla sopraffazione, più si rafforza l’elemento della separazione. D’altra parte l’educazione è relativa all’ampiezza del sentire che la genera: un sentire ampio dà luogo a un modello educativo inclusivo; un sentire limitato a un modello esclusivo.
Se in una società le avanguardie di sentire sono emarginate questa sarà governata dalla parte più limitata del sentire stesso. Dal libro L’Essenziale.
Tutti i post ‘Le basi del Sentiero contemplativo’
NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
- Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
- Le basi del Sentiero contemplativo
- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
Ricordavo l’efficace rappresentazione grafica da un testo del CI.
Molto ben fatto, ma il senso di essere, il “sentire” di esistere mi viene di attribuirli alla coscienza e non al monitor. Chiaro che siamo nel campo delle esemplificazioni, mai completamente esaustivo, tuttavia l’idea che mi son fatto in questi anni di frequentazione è che il monitor non esiste come oggetto a sé stante. Le Guide lo affermano in abbondanza. Il monitor lo vedo un po’ come una “maschera” che indossa la coscienza, la quale, specchiandosi nella vita appunto si fa un’idea della maschera che assume. L’identificazione appartiene secondo me alla coscienza e non è altro che il grado di adesione della coscienza alla maschera. Quanto più la coscienza aderisce all’immagine della maschera e si identifica con essa, tanto più l’identità è marcata e viceversa mi vien da dire. Ma chi sono io per dire queste cose? Infatti le fico senza pretese se non quella di esporre la mia percezione. Tanto farlocca quanto sacra.
Veramente azzeccatissimo l’esempio del computer per farci comprendere la differenza tra identità e coscienza.