È possibile che un sentire ampio dia luogo a una identità allineata, armonica con quel sentire e a una vita priva di tensioni?
Si, ma non sempre e non necessariamente. Non dobbiamo confondere: una identità in linea con il sentire e non in balia di fantasmi particolari, può comunque trovarsi ad affrontare scene complesse e apportatrici di dolore.
Come nasce il dolore? Dal conflitto tra l’intenzione della coscienza e la ‘volontà relativa’ dell’identità. Quando la volontà dell’identità è residuale e ciò che domina è l’intenzione, possono comunque svilupparsi scene complesse dovute alle necessità di comprensione della coscienza; queste necessità attraversano una identità non necessariamente pronta a quelle sfide, la quale può introdurre delle distorsioni, o resistenze, generando dolore.
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Quindi sentire ampio genera sicuramente identità adeguata ai compiti ma non necessariamente vita priva di ostacoli. La quantità di ostacoli dipende da quanto ancora la coscienza deve comprendere.
Una identità fluida, ovvero una lettura di sé non carica di conflitti ma pacificata, è la condizione perché nella vita della persona qualcosa d’altro, che valichi il limite ristretto dell’identità, assuma una centralità.
Fino a quando la persona è coinvolta, e a volte travolta, dalle questioni identitarie, tutte le sue forze sono indirizzate a governare e risolvere quelle questioni; ma quando comincia a prendere forma una pacificazione, allora la spinta esistenziale si fa più chiara e si liberano energie da dedicare a quel livello d’esistenza.
Più si amplia il sentire più l’identità perde la sua centralità: la persona impara a considerarsi come coscienza, come sentire, prima che come pensiero ed emozione.
È un cambiamento epocale: pensavamo che senza il tramestio emotivo la nostra vita non avesse colore; immaginavamo che senza controllare, ponderare, giudicare ogni fatto e ogni persona non saremmo più stati noi, esseri definiti, esistenti; abbiamo invece scoperto, man mano, che emozione e pensiero non sono che corollari, fattori secondari al servizio di un’esperienza centrale, quella del sentire.
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- Le basi del Sentiero contemplativo
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- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
Ci si è aperto un mondo: non sappiamo indagarlo, non ne conosciamo le regole ma avvertiamo chiaramente che è centrale, che quello è oggi il fulcro su cui ruota tutto il nostro sperimentare.
Abbiamo perso tutto e trovato l’essenziale e, miracolo, non siamo angosciati dalla perdita.
L’emozione non è più importante; il pensiero è solo una componente del vivere; il corpo è soggetto a tutti i processi e decade e noi non siamo angosciati. Perché?
Perché si è insinuato altro che fonda e stabilizza la nostra vita.
Si è insinuato? Non c’era prima? Certo che c’era, è sempre stato lì e tutto ha governato e orientato, ma noi eravamo focalizzati sul nostro ombelico, sul nostro tentativo di esserci e non potevamo accorgerci del pulsare dell’Essere oltre l’esserci.
È cambiato, di esperienza in esperienza, il nostro sguardo, la lettura di noi: la coscienza, il sentire, sono sempre stati lì. Ma ora la domanda che sorge è: nella vita di tutti i giorni, nella concretezza delle nostre esperienze che cosa significa imparare? E come si articola questo processo?
Dal libro L’Essenziale.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
Ogni rilettura è un tassello di comprensione che si aggiunge al compreso.
“abbiamo invece scoperto… che emozione e pensiero non sono che corollari, fattori secondari al servizio di un’esperienza centrale, quella del sentire.” È perfetto!
In queste parole l’esperienza vissuta. La quantità di energie presenti quando ci si libera dall’ingombro delle proprie dinamiche è inimmaginabile. Non intendo dare un colore positivo all’inimmaginabile. È così e basta. Se con la testa osservo i progetti che porto avanti la testa dice: non è possibile. Eppure… Per me imparare è chiaro oggi cosa significa perché è ancora importante l’ingombro di me, c’è molta materia da lavorare prima che l’opera emerga levigata dalla massa informe.
Brano illuminante !