Per chi lo fai? Per te, per l’altro?

Ogni sapientone, me per primo, ha usato questa interrogazione nel tentativo di comprendere la radice del proprio/altrui egoismo e centralità. Ma se la domanda fosse sbagliata?

Per chi crea la realtà il sentire? L’espressione ‘per sé’ ha un senso dal punto di vista del sentire?
Il sentire crea la realtà, sentendola, non per sé, non per l’altro, non per egoismo né per amore: crea la realtà allo stesso modo in cui il display dello smartphone traduce impulsi in gradazioni cromatiche diverse.

La coscienza non è una persona, non esiste a nessun livello, tantomeno a quello dei corpi superiori, la nozione di persona: esiste invece un sentire a vari livelli che ha una limitazione, finché non si fonde con altri sentire; quella limitazione, nel divenire, produce la nozione/percezione di essere persona, identità.

Dunque la domanda: “Per chi lo fai?” è totalmente sbagliata e fuori luogo. Ha invece senso chiedersi: “Mentre vivi queste scene, sei chiuso in te e contrapposto all’altro?”.
Se sei chiuso devi aprire, il compito è andare oltre la frattura, la separazione, essere flusso di dati libero e naturale senza proteggersi dietro a una staccionata.

In questo modo si affronta alla radice l’egoismo e l’egocentrismo, un sistema chiuso in opposizione a un altro sistema chiuso.
Un sentire non è né egoista, né altruista, è frutto di innumerevoli fusioni tra sentire equipollenti, o è ancora all’inizio di questo processo fusionale: ciò che serve al sentire, a qualunque punto sia della sua cosiddetta e illusoria evoluzione, è che l’autoconsapevolezza che sviluppa non sia condizionata da archetipi troppo stringenti che lo castrano e lo bloccano nel libero scorrere dei dati.

L’autoconsapevolezza del momento incarnativo, che chiamiamo identità, non ha bisogno di una morale che soffochi il necessario bisogno di esperienze, ha invece bisogno di comprensioni e compassioni ampie che permettano a ciascun sentire di avere manifestazioni il più piene possibili, senza inutili ostacoli.


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Natascia

Il lavoro da fare quindi, è sempre su ciò che aggiungiamo al Reale. Togliere, scardinare, ribaltare le forme pensiero tipiche della nostra cultura. Tolto un velo, ne scopro un altro. Eppure sotto quella coltre di illusioni, si percepisce un nucleo solido a cui non saprei dare altro nome che Amore.

Catia Belacchi

Anche questo post pone una nuova visione nel rapporto con l’altro dal punto di vista della identità o del sentire. Da lasciar posare e poi rifletterci

Nadia

Interessante, grazie.

Edi

esiste invece un sentire a vari livelli che ha una limitazione, finché non si fonde con altri sentire; Credo che se il sentire fosse limitato non potrebbe fondersi con altri sentire La possibilità di fusione nasce dal fatto che la limitazione del sentire è virtuale

uma

A Edi Stiamo parlando del divenire, non dimenticarlo, e sempre il sentire è limitato in modo virtuale, perché tutto è virtuale, illusorio.

Leonardo P.

Non esiste nessun “me”. Quel “me” corrisponde a un sistema chiuso, direi miope, che non è in grado di vedere l’illusorietà di quella affermazione

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