Le basi della Via della conoscenza. Quando nell’uomo muoiono le speranze di giungere a una meta o viene anche solo messo in crisi il concetto di seguire un percorso per arrivare a una meta, si trova di fronte al potere della vita, perché gli è stata sottratta una parte del potere della propria mente.
Infatti, scomparsa la meta, viene tolto uno degli elementi cardine della mente: il progetto, la direzione, il vincolare l’azione a un possibile premio, che per voi può essere il vostro io o anche il vostro non-io. Sparita la meta, appare lo spazio consegnato al potere della vita, che è quello che vi obbliga a commisurarvi giorno dopo giorno con le miserie della vostra mente, e non perché diventi per voi importante farlo, ma perché il vostro agire vi apparirà così aleatorio e così povero rispetto a prima, che ogni questione evolutiva vi sembrerà insignificante.
In voi scompaiono le mete e voi venite consegnati alla vostra evanescenza, mentre prima, nella vostra prospettiva, ogni più piccolo atto riceveva un profondo significato poiché vi imprimevate sopra il marchio della meta; sì, per voi persino ogni piccolo atto può diventare grande, se visto in funzione di un’agognata dissoluzione.
“Senza mete, solo vento che va”
Ma, tolto il marchio della vostra mente, voi venite riconsegnati alla vostra insignificanza, sperimentata nelle azioni di ogni giorno, poiché a quel punto anche l’azione che voi considerate più altruistica, senza un riferimento finale, è ben misera cosa, mentre per voi è abituale trasformare ogni piccola azione imprimendovi sopra il marchio di una realtà che non esiste.
Però, scomparse le mete, ogni uomo è costretto a misurarsi giorno dopo giorno con la sua povertà, riconsegnato all’essere solo vento che va. Il vento che va è soffio del Divino, libero da un qualsivoglia interesse a costruire per sé un percorso evolutivo e, quando si è vento che va, ciò che si porta nella realtà è solo inconsistenza.
Quando un uomo inizia a dubitare di ciò che la propria mente dice sulle mete o sui traguardi o sui progetti spirituali, allora gli si apre davanti un’altra prospettiva, anch’essa limitata ma profonda, che lo porterà a vivere la propria sofferenza nell’essere privato della meta e non sapere più che senso abbia ciò che lui compie, pur non potendo rinunciare a compierlo, in quanto qualcosa accade dentro di lui che lo lega a ciò che fa.
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Ma quando in quell’uomo viene messo del tutto in crisi il concetto di meta, significa che nella sua vita si è introdotto qualcosa che egli non comprende e che però guida le sue azioni. La messa in crisi di ogni meta, come prospettiva evolutiva, può avvenire soltanto se dentro l’esistenza di un individuo si inseriscono dei momenti di puro accadere, dei quali lui non sa dire nulla e che lo consegnano per un attimo al mistero, anche se, subito dopo, lui ricomincerà a fare azioni guidate dalle sue intenzioni. Quando nella vita umana incominciano ad avvenire fatti rispetto ai quali non si sa che dire e che conducono all’impasse del non riuscire più a essere sedotti dall’impellenza delle mete, in quel momento si apre in quell’essere il deserto.
“La naturalità del fare”
Nel proprio percorso evolutivo, l’essere umano si può imbattere di quando in quando con avvenimenti o con un sentire interiore – di cui lui non capisce né l’origine e né la motivazione – che lo costringono dentro una per lui insolita modalità di agire che lo porta a fare le stesse cose che prima gli davano soddisfazione, nonostante ora dubiti della meta. Si sente stretto nel dubbio e stretto in quella situazione che non gli parla più di evoluzione o di miglioramento, eppure non può non fare quell’atto, e non perché se lo imponga come meta, ma perché altro lo porta a compierlo in assenza di intenzionalità.
Questa nella via della Conoscenza è la naturalità del fare, che non proviene dai progressi che ognuno ritiene di aver fatto, ma che parla invece di un accadere che lega progressivamente quell’individuo a una nuova naturalità nel fare.
“L’irrompere del Divino”
Ed è in questa naturalità che si pone ogni uomo che dubita delle proprie mete quando il Divino irrompe nella sua vita, ma non perché lui sia meritevole o abbia fatto chissà quali progressi, ma perché in lui qualcosa è avvenuto che lo rende disponibile a essere torchiato dal Divino per essere soltanto vento che va, cioè espressione del soffio divino. In quell’individuo si è protratto così tanto il dubbio rispetto a una meta, che è pronto a essere torchiato e il Divino irrompe in lui misteriosamente.
Infatti, non irrompe presentandosi a lui con chiari segnali: accade in modo silenzioso e misterioso, e quell’uomo si sente costretto dentro una naturalità che lui vorrebbe negare, perché non trova senso nel come essa si presenta, ma non può farlo, e allora si apre per quell’uomo un periodo difficile, perché egli viene privato sia della sua meta interiore che di tutto il senso di cui ha precedentemente caricato ogni suo agire. Proprio tutto quello che voi fate dentro un cammino interiore, in nome e per conto dell’evoluzione spirituale, porta in sé il marchio del vostro considerarlo sempre grande, sempre importante e finalizzato a dissolvervi nel Divino. Però il Divino che irrompe in voi vi mette in scacco, facendovi sentire vento che va, cioè soffio.
Ogni deserto interiore s’accompagna a uno sradicamento o anche indebolimento del vostro concetto di meta, che per un umano significa non capire più il motivo per cui fa tutte quelle cose che prima lo arricchivano interiormente, pur non potendo non farle; ad esempio non capisce perché lui resti lì ad ascoltare l’altro, pur con tutti i propri umani limiti e pur non desiderando farlo, anche se con sofferenza, perché non trova in quell’atto più alcun senso, eppure non riesce a non farlo.
“Il silenzio di Dio”
In quel deserto interiore sorgono mille dubbi e nuove domande, ma soprattutto nasce in quell’essere la ricerca di un Dio che prima sembrava essergli accanto e che ora non parla più. Ciò che invece parla è la propria miseria, la propria insufficienza e quella nuova naturalità nell’agire che lui non riesce a spiegarsi.
È questa la morte di ogni pretesa di maturazione, è la negazione di ogni azione tesa a evolvere spiritualmente, e allora in quell’essere nasce la domanda di chi sia il Divino ora che in lui è morta ogni meta.
Non è più quello che lo amava secondo i suoi parametri, ma diventa quello che lo crocifigge dentro quel deserto, facendogli in tal modo conoscere il Suo amore.
Questo Divino lo incalza e lui si domanda a che cosa serva tutto quello che lui sta continuando a fare: non capisce dove stia andando, non capisce il proprio agire e non capisce a che cosa serva all’altro quella nuova naturalità nel fare e neanche capisce perché mai lui debba continuare ad agire senza più una meta. Ma Dio non parla e lo lascia lì, dove però Lui è: lì, nel flusso della vita e nella morte della sua mente.
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“…ad esempio non capisce perché lui resti lì ad ascoltare l’altro, pur con tutti i propri umani limiti e pur non desiderando farlo, anche se con sofferenza, perché non trova in quell’atto più alcun senso, eppure non riesce a non farlo.” In questo passaggio colgo qualcosa che conosco e forse mi aiuta a capire
Un percorso di cui in qualche modo e porzione ho fatto e faccio esperienza. Quando ha coinciso con l’irrompere della depressione, mi ha portato a sperimentare, baratri di non senso, disperazione, buio completo, angoscia. Che il giogo sia lieve e il carico leggero, è l’augurio che rivolgo a tutti. Ma non so se è il meglio che io debba augurare. In fede.
“Ogni deserto interiore s’accompagna a uno sradicamento o anche indebolimento del vostro concetto di meta”. Così ; per quanto impercettibile verso quello l’umano si muove.
Ciò che si avverte alla scomparsa di ogni meta è un senso vasto di smarrimento, ma no scompare la fiducia nel divino.