Il bisogno di essere riconosciuti, confermati, come sorge? Direi che il bisogno di essere riconosciuti si manifesta appena alla consapevolezza sorge un’immagine di sé: ho un corpo che percepisco come altro da quello di mia madre; ho delle sensazioni e delle emozioni che ugualmente percepisco come altre.
È questo già un nucleo d’identità che si comporrà d’innumerevoli altri fattori nel tempo ma che, intanto, utilizza i dati che gli provengono dalla auto-percezione e dalla percezione dei segnali esterni, per la definizione di sé. Percepisco questo, quindi sono. Sento questa emozione, quindi sono. Mi mandi questa conferma, quindi sono. Piango e non rispondi, problema.
L’immagine di sé diviene capacità di leggersi in relazione a dei modelli con la pubertà: allora il ragazzo si osserva, ha una consapevolezza di sé che gli deriva dalla possibilità di confrontarsi con i pari, con dei modelli acquisiti culturalmente e con l’impronta che gli conferiscono gli archetipi transitori nei quali è immerso; va incontro a processi complessi che quasi sempre comportano una difficoltà di accettazione: l’osservato non è quasi mai conforme al modello, all’aspirazione, a quello che bisognerebbe essere per corrispondere all’ideale, all’adeguato, al giusto.
Ecco lo specchio interiore/esteriore di cui parli: viene confrontata la percezione di sé, interiore, con un modello desiderabile, esteriore.
Attraverso il conflitto, il rifiuto anche e, spesso, un disagio considerevole, si forgiano aspetti sempre più complessi dell’identità; questo dura fino all’ingresso nell’età adulta, fino a quando cioè la coscienza non compenetra pienamente i suoi veicoli e utilizza l’immagine di sé – nelle coordinate di fondo più che nella sua estrema volubilità – che si è venuta creando, come strumento.
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Certo, il processo identitario continuerà per tutta la vita ma le fondamenta vengono gettate nei primi ventuno anni circa. Effettivamente la conferma di sé avviene nella distinzione come nell’unione, le due esperienze sono entrambe necessarie al processo, complementari.
Questo è chiaro nell’innamoramento: prevale inizialmente la fusione totale e poi, man mano, i due riacquistano margini di autonomia: è una danza continua tra l’esserci identitario e il dimenticarsi di sé, il noi e l’io, la rinuncia all’autonomia e la sua rivendicazione.
Così sarà finché viviamo, sballottati tra due apparenti estremi e opposti, finché non riusciamo a operare una sintesi e a concepire l’identità non come il fattore limitante ma come la lettura di noi indispensabile alla manifestazione.
L’identità può introdurre molti ostacoli lungo il processo della manifestazione del proprio sentire, può essere veramente ostacolante. Pensa a quelle menti che si aggrovigliano nella paura, nella svalutazione, nel senso d’inadeguatezza: vedi come nei veicoli si crea una barriera al fluire del sentire? Dal libro L’Essenziale.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
Se il bambino non costruisce un’immagine di sé diversa da quella della madre, rimarrebbe per sempre in uno stato di fusione pertanto non potrebbe compiere il suo percorso evolutivo. È necessario che costruisca la propria immagine di sé, per poi destrutturarla nella età adulta.