Abbiamo visto, fin qui, che lo scomparire dell’agente passa attraverso il venire meno del meccanismo del connettere. Ora affrontiamo la terza connessione da voi operata. La prima è con le mete, la seconda è con il passato, la terza è con l’introduzione del principio di causa ed effetto nella via interiore.
L’applicare il principio di causa-effetto è uno dei modi per ordinare la casualità che incontrate nella vita intorno a voi; la sfuggite perché non la accettate e la temete.
Nello scorrere libero dei pensieri si possono osservare le capriole che essi compiono da un fatto a un altro, da un ricordo a un altro, a seconda delle sollecitazioni: capriole che seguono un andamento casuale. Anche i pensieri che si formano sulle azioni e anche la sfera emotiva, nel loro susseguirsi casuale, sono la negazione del principio di causa-effetto, baluardo della via interiore. Lo stesso principio lo applicate persino allo scorrere della vita, poiché la casualità la equiparate al concetto di caos.
Un partecipante: Non c’è un agente del caos.
Una voce: Il caos è la negazione dell’agente. Il caos è un’etichetta che usate per applicare le vostre connessioni in tutto quello che, nella vita, si trova coniugato dal punto di vista casuale.
Per comprendere lo scomparire dell’agente bisogna andare al momento in cui, nell’uomo che si interroga, iniziano a sfilarsi le associazioni con il passato e quelle con la meta; lì si indebolisce il principio di causa-effetto e si toglie forza alla necessità di connettere.
Voi avete bisogno di connettere sia per darvi identità, sia per poter dire: “Questo mi appartiene: sia quello che è positivo che quello che è negativo, e perciò io ci sono come agente”. Quindi, lo fate per ribadire che ci siete, perché dirlo significa dare il vostro senso alla vita. L’esserci è un senso dato al sentirvi vivi e alla vita che dite “vostra”.
Ma, oltre al fatto che avete bisogno di connettere per rappresentarvi come unitarietà – altrimenti chi siete? – la continua ricerca di connessione ha a che fare con il bisogno di proteggere voi stessi. Poiché la più temibile minaccia alla vostra identità è la disconnessione, così come lo è pensare che tutti gli altri in relazione con voi siano disconnessi, e che le relazioni siano attuate nella disconnessione, perché questo vi fa temere di essere governati da qualcosa che né conoscete e né controllate.
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Eppure siete governati, e a farlo sono l’andamento dei pensieri e la forza e la ricchezza delle emozioni, sovente ingovernabili nonostante i vostri tentativi. Diverso è il discorso con le azioni, che affronteremo poi.
Quindi, in quello scomparire si vede sorgere un’altra visione, oggi scomoda, perché parliamo della comprensione profonda che gli altri in genere sono disconnessi, che voi siete disconnessi e che la relazione è governata dalla disconnessione. Questo dimostra che il bisogno di connettere è difesa, è conferma di voi, è dare un senso allo stare l’uno accanto all’altro. Quel senso ha le radici nel bisogno di darvi un ordine, poiché, nell’apparente non-ordine, voi e l’altro chi siete?
Nel processo dello scomparire, la messa in crisi del principio di causa-effetto squarcia un velo sulla realtà alla luce della disconnessione. Se non si parte da lì, dominano sempre e solo le affermazioni radicate nella vostra mente, perché la disconnessione è illogica per quella struttura, e quindi lo è anche per chi, inconsapevolmente, si identifica in essa.
Abbiamo già parlato del fatto che per voi quel “chi” che agisce – un qualcuno – raggruppa dentro di sé una molteplicità di aspetti; però abbiamo anche visto che questa molteplicità non è unitaria, coerente e articolata, ma è disconnessa. Che uno prima sia gentile, e dopo tutt’altro, questo gli appartiene come attribuzione, e da qui nasce in voi l’immagine che quel soggetto sia un qualcuno fatto di tante parti; a volte le vedete contraddittorie, a volte non ordinate, ma per voi appartengono a lui, e quindi creano una legittima identità che lui rappresenta agli altri. Legittima è anche l’incoerenza attribuita a voi, oppure a qualcun altro, ma sempre dentro un passato che giustifichi il fatto di esserci come individualità.
Tratto da: Scomparire a se stessi (Il morire a se stessi è il morire dell’agente, Download libero)
Scomparire a se stessi, tutti i post del ciclo
Via della conoscenza. Questo è un viaggio a ritroso dentro noi stessi. Un viaggio in cui incontreremo delle strettoie create dalla via della Conoscenza e fatte di radicalità, di provocazioni, di negazioni, di paradossi e di metafore. L’agente siamo tutti noi che ci attribuiamo la paternità delle azioni che si compiono attraverso di noi, ma delle quali siamo i semplici portatori. Saranno messi in luce, e ci si presenteranno davanti, strada facendo, i nostri meccanismi, i nostri concetti e le nostre strutture mentali, e la voce che ci guiderà terrà la barra dritta, impedendoci di deviare.
La via della Conoscenza è una non-via e un non-insegnamento, perché è un contro-processo dei processi della mente. Non suggerisce pratiche e non dà mete, ma è la negazione delle pratiche e delle mete. Non porta alla conoscenza, ma svuota da tutte le conoscenze costruite sul cammino interiore intorno a un “io,” distinto, che cerca una propria evoluzione non capendo che tutto è già unità.
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Disconnettere e farsi veicolo neutro, oltre le proprie gabbie