La privazione di sé che conduce al Divino [vdc47]

Le basi della Via della conoscenza. Voi pensate ancora al Divino come a chi tutti riassume o come Colui in cui perdersi o come Colui in cui non c’è distinzione, ma è solo perché ancora non riuscite a rovesciare la prospettiva e dire che gli altri sono il Divino, indipendentemente da come sono, da cosa diventano, da quanto sono maturati o da quanto sono evoluti.

Però nel deserto interiore sperimenterete l’unitarietà come indispensabilità, e quindi non riuscirete a dire che quel tale è evoluto, e quindi c’è una grossa comunione, e che l’altro è meno evoluto e quindi la comunione è minore, mentre quell’altro è contro Dio, e allora la comunione non può esserci.

No, l’altro è indispensabilmente unito a voi, indipendentemente, altrimenti è la vostra mente che parla dell’altro, ponendovi sopra le proprie costruzioni concettuali al fine di soddisfarsi. Il Divino sta in ciò che non ha caratterizzazione, mentre è sempre la vostra mente a porre le caratterizzazioni, anche quando dice di farlo in nome del Divino: menzogne della mente!

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Il Divino è solamente dove non c’è connotazione e quando appare la connotazione si oscura il Divino e riappare la vostra mente, e allora le relazioni portano il carico della vostra mente e rappresentano il Divino solo per la sostanzialità che esse hanno e non per ciò che la vostra mente ha caricato sopra.

Chi attraversa il deserto della propria interiorità, restando nella solitudine di quel deserto, sperimenta che c’è un’indispensabilità in cui regna il Divino, e non c’è proprio altro motivo per entrare in relazione con gli altri, mentre il resto è esigenza umana che porta tutto il carico della vostra mente. E allora, apritevi a questa indispensabilità e sostanzialità di ogni relazione con l’alterità ove ciò che conta è solo che lì c’è il Divino, null’altro.

“La privazione che conduce al Divino”

Perciò spostate la vostra attenzione e fissatela, non su come l’altro parla, non su ciò che dice, non su come si comporta, ma su quel Divino che trascende tutto questo. Però questo riconoscimento non nasce perché voi lo volete, ma perché voi lasciate andare e accettate di stare nel deserto e di morire in quel deserto; ma subito non lo riconoscerete, pur sperimentandolo, e per molto tempo lo vivrete semplicemente come privazione. Ma sarà quella privazione a condurvi in faccia al Divino che è in ogni faccia che incontrate giorno dopo giorno e che voi immediatamente contrapponete a voi, separate da voi, allontanate da voi o accogliete per riempirvene.

Se mai l’uomo incontrerà questa esperienza che gli farà riconoscere che tutte le proprie azioni sono sempre intrise della propria mente, a quel punto essa lo perseguiterà per farlo ritornare fra gli eletti di un tempo. Ma se quel deserto continuerà dentro di lui, allora la sua mente inizierà a esortarlo a proseguire, ad approfondire e a cercare di scoprire dove essa lo stia portando al fine di appropriarsi anche di quel deserto in cui quell’uomo potrebbe magari trovare la chiave per raggiungere l’illuminazione.

Ma in quel deserto l’uomo coglierà il trabocchetto della propria mente perché, se il Divino lo coglie, lui saprà riconoscere di potersi impadronire soltanto dei desideri della propria mente. Ed essendo diventato consapevole anche di quei desideri, quelli che prima scambiava per propri desideri, o magari per una spinta interiore che lo portava a maturare, a quel punto lui incomincia a distinguere e a notare come subdolamente parli la sua mente.

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1 commento su “La privazione di sé che conduce al Divino [vdc47]”

  1. Sì, ora so che il divino non è in un luogo, ma nel volto di ogni fratello con cui entriamo in relazione. Ho dovuto passare attraverso il rifiuto dell’altro prima che questa comprensione di affacciasse

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