Dicevo prima che l’osare porta con sé anche un certo tasso di follia; qual è questa follia?
L’andare oltre il conosciuto rassicurante perché si sente una spinta a farlo e si comprende che solo sperimentando si va oltre di sé: attraverso sé, oltre sé.
Si accetta la condizione di essere un laboratorio sperimentale: “Vado a vedere, molto probabilmente mi farò male, ma vado a vedere!”. Puoi compiere un gesto così quando sei disperato, o profondamente frustrato, o quando hai compreso che impari solo attraverso le esperienze. La tiepidezza non è un valore: il discernimento è un valore.
Anche il Cristo raccomanda di non essere tiepidi, di non rimanere cioè nel recinto del conosciuto ma di osare dire sì, dire no, scegliere, discernere e poi operare. L’osare è legato alla capacità di assumersi le proprie responsabilità e alla rottura dell’immagine di sé come vittima.
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- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
L’identità della vittima è il frutto velenoso dell’ignoranza, dell’ottusità di visione: leggo tutta la realtà come stretta dentro la morsa del carnefice che stritola le sue vittime. Troppo grande il carnefice, troppo vasto e diramato il suo potere, troppo articolata la sua azione per essere contenuta da me povero e meschino, da noi che non abbiamo né il denaro, né siamo lobby, traditi dagli amici, dai partiti, da coloro che ci rappresentano.
Il canto della vittima, ovvero le parole di chi non riesce a ergersi nella sua autonomia e responsabilità. La vittima non osa, sopravvive. Il mondo cospira contro ed è troppo grande per essere affrontato.
Se non vivo io chi vivrà la mia vita? Se non sperimento, mi espongo, ferisco e mi ferisco, accarezzo e vengo accarezzato, uso e vengo usato, dono e ricevo, mi inchino e mi ribello, chi lo farà al mio posto? Chi imparerà per me attraverso le esperienze che io mi nego?
La follia sta nel rompere l’umido del cantuccio della nostra marginalità mediocre e decidere di affrontare ogni singola giornata sapendo che è la nostra giornata e in essa incontreremo le opportunità, le sfide, le cadute che sono necessarie ai nostri processi interiori.
Possiamo osare solo se consideriamo il nostro quotidiano come la nostra officina: non il luogo delle minacce, ma quello dell’intimità e delle possibilità. Nell’officina incontriamo i collaboratori efficaci di questo giorno, i maestri veri che con le loro mani ci modellano.
Se abbiamo gli occhi per vedere il quotidiano, la vita come officina, non abbiamo paura di soccombere e allora possiamo osare avendo compreso che dal vivere può sorgere solo comprensione.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
“il nostro quotidiano come la nostra officina: non il luogo delle minacce, ma quello dell’intimità e delle possibilità”
Ecco. Il quotidiano vissuto come minaccia. Se lo considerassimo come una bottega, la più preziosa in cui ceselliamo i nostri gioielli, cambierebbe tanto.