Ho accennato poco fa alla possibilità di usare ed essere usati: queste espressioni suonano male alle orecchie della vittima. “Sono già vittima innumerevoli volte, innanzitutto della vita carogna, pensa te se mi metto a usare qualcuno o lo incoraggio a usarmi!”
Vedi come opera l’ignoranza? Come è metastasi che gradualmente corrompe il corpo dell’essere? Vedi la morale raffazzonata come lavora? Ti sembra di essere nobile perché non usi e non vuoi essere ulteriormente usato. E se invece fosse che tutti usano tutto e il vivere non fosse altro che un immane ecosistema dove la relazione e l’uso reciproco realizzano l’equilibrio?
Ma ci sembra scorretto affermare: ”Io uso te, tu usi me!”. Ci sembra di essere cinici nel dire questo a qualcuno; preferiamo dirgli che gli vogliamo bene, raccontarci la favola degli affetti, dell’altruismo, della donazione. Sarebbe interessante andare a vedere fino in fondo la natura dell’affetto, delle relazioni affettive, ma l’abbiamo fatto in un altro libro e non è argomento che tratteremo in questo.
L’officina, con suoi operai, non è altro che il processo dell’usare la relazione al fine della propria trasformazione. L’altro ci trasforma perché ci permette di vederci, è specchio vivente, pungolo impietoso nella carne della consapevolezza di noi.
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- Le basi del Sentiero contemplativo
- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
Tutti impariamo attraverso l’altro, sempre. La relazione è uso consapevole dell’altro che chiamiamo sul palcoscenico della nostra scena, che recita la parte da noi assegnata a nostro esclusivo beneficio.
Delle tante parti che l’altro esprime nel mondo delle varianti, nell’eterno presente, noi cogliamo quella che parla di qualcosa di noi: quella sequenza di fotogrammi la coscienza sperimenta e non quell’altra, perché quella le serve. Qui il discorso si fa complicato e rimandiamo il lettore all’insegnamento del Cerchio Firenze 77 sull’eterno presente, le varianti, la soggettività della percezione e della vita.
Invece di “usare” potevo parlare di “avvalersi”, la mente si sarebbe urtata di meno; usare non è politicamente corretto, rimanda all’egoismo e all’egocentrismo e non ci piace che ci si ricordi che noi ci collochiamo, che siamo, secondo la nostra percezione comune, al centro, e che il mondo ci ruota attorno. Viviamo così, con il mondo che ci ruota attorno, ma non lo vogliamo sentire.
Se fossimo più attenti scopriremmo che è naturale che il mondo ci ruoti attorno perché quella è la sua natura e il suo servizio fino a quando non abbiamo compreso che non c’è alcun noi attorno al quale gira alcun mondo.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
Ancora una volta viene demolita la morale a cui aderiamo senza che ci si ponga un dubbio.
Alla parola usare diamo una connotazione negativa, eppure è ciò che accade in ogni relazione.
Diciamo che ogni scena è funzionale al nostro apprendimento, eppure ci ostiniamo a vedere come dote l’essere altruisti senza conoscere l’intenzione che muove quell’azione.
Tornare al CcE’, senza colorire, rimanendo neutrali.
Non facile, occore un’osservazione attenta e impietosa e dubitare.
Comprendo il senso descritto dell’usare e essere usati. Grazie.
Impariamo attraverso l’altro sia che ci sia prossimo che più distante.
Pertanto riconosco che è corretto dire che ci usiamo a vicenda.
Questo capita anche nei rapporti affettivi, ma non per questo tali rapporti sono meno “affettivi” se pur di un affetto imperfetto.