E, allora, per l’umano che cosa rappresenta l’altro da sé? Pensateci. L’altro arriva e si mostra: è una presenza che può vincolarlo o favorirlo, cioè viene etichettato attraverso gli opposti, coi quali la mente vi fa ballare la sua danza.
Quello che intendiamo è sotteso, e spesso l’uomo non se ne rende conto. L’altro rappresenta il vostro modo di mantenere viva l’immagine della vita che vi siete creati, aggiornandola di volta in volta. Quindi, è indispensabile per mantenere l’immagine che ha della vita, poi per articolarla, per sofisticarla e per adattarsi a stare dentro quell’immagine. In definitiva, per riconfermarla, perché l’uomo non fa altro che rafforzare quell’immagine. Attenti, perché questi tanti altri che lui incontra hanno una caratteristica comune, pur essendo estremamente differenziati.
Ma questo cosa vuol dire nel suo considerare l’altro dentro la vita? Vi chiediamo qual è l’immagine della vita che viene rafforzata e riconfermata. Pensateci: c’è qualcosa nel suo modo di vedere l’altro che gli conferma quell’immagine, o che sminuisce alcuni aspetti e ne esalta altri. Si tratta proprio del significato che lui attribuisce alla non-governabilità, cioè quello che gli nasce dentro quando punta lo sguardo sul suo bisogno di governabilità nel relazionarsi con la vita in sé e con gli altri. Perché sono proprio la non-governabilità e la non-prevedibilità a poter cambiare il suo modo di intendere la vita e quello di rapportarsi con gli altri.
Quando si parla di non-governabilità, di non-prevedibilità e di molteplicità – quindi di effimero, di ciò che nasce e muore, di ciò che l’altro presenta e poi lascia decadere – si sta parlando di ciò che è, o della vita in sé. Che è la negazione del vostro tenere il radar puntato su quello che volete evitare di ciò che si presenta, perché dell’altro voi accettate solo quello che è funzionale all’immagine della vita inserita nei vostri parametri.
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Abbiamo detto che la vita è non-prevedibile e non-governabile, mentre voi uomini vi dite che la vita è maestra e che vi porta progressivamente a correggere, a mutare e a rendere più armonico quello che chiamate il vostro cammino evolutivo. In questo modo, evitate di puntare lo sguardo sulla realtà della vita, che è frattura dopo frattura, e ricreate e valorizzate la continuità, che vi è utile per portare avanti ogni vostro miglioramento spirituale.
L’immagine che l’uomo si è formato della vita non è del tutto statica, però sono presenti dei pilastri che non vengono mai messi in crisi. L’uomo non tiene lo sguardo puntato sulla frattura dopo frattura, presente sia nella vita che nelle relazioni, ma punta tutto sulla continuità, che è la base per promuoversi, per relazionarsi e per utilizzare l’alterità. Se poi introduciamo la via evolutiva, allora la continuità diventa anche la base per migliorarvi, per aprirvi progressivamente agli altri e per riconoscere l’altro nei suoi bisogni.
L’umano concepisce la vita come continuità, e allo stesso modo concepisce il suo rapporto con gli altri, anche quando, deluso dalle relazioni, ne riduce le aspettative, continuando però sui binari del difendersi, del proteggersi e del promuoversi. Quindi, voi appiccicate sulla vita e sugli altri il concetto di continuità per continuare a considerarli come vostro utilizzo, anche se molte volte non riuscite nell’intento, cioè quando vi rendete conto che la vita e gli altri eccedono le vostre celate intenzioni di utilizzarli.
Il concetto di continuità vi impedisce di vedere le fratture. Per esempio, non vi piace vedere la relazione come continua frattura, anche se poi, con dolore o con rabbia, a volte ne fate i conti, pur non etichettandole come tali, ma come una imperfetta continuità da aggiustare. E se l’altro da voi vi mostra un aspetto imprevedibilmente nuovo, non lo vedete come frattura ma come: “Tanto poi ritorna come prima”, oppure: “Tanto è una cosa passeggera”, oppure: “E’ sempre lui, solo un po’ diverso”.
Tratto da: Scomparire a se stessi (Il morire a se stessi è il morire dell’agente, Download libero)
Scomparire a se stessi, tutti i post del ciclo
Via della conoscenza. Questo è un viaggio a ritroso dentro noi stessi. Un viaggio in cui incontreremo delle strettoie create dalla via della Conoscenza e fatte di radicalità, di provocazioni, di negazioni, di paradossi e di metafore. L’agente siamo tutti noi che ci attribuiamo la paternità delle azioni che si compiono attraverso di noi, ma delle quali siamo i semplici portatori. Saranno messi in luce, e ci si presenteranno davanti, strada facendo, i nostri meccanismi, i nostri concetti e le nostre strutture mentali, e la voce che ci guiderà terrà la barra dritta, impedendoci di deviare.
La via della Conoscenza è una non-via e un non-insegnamento, perché è un contro-processo dei processi della mente. Non suggerisce pratiche e non dà mete, ma è la negazione delle pratiche e delle mete. Non porta alla conoscenza, ma svuota da tutte le conoscenze costruite sul cammino interiore intorno a un “io,” distinto, che cerca una propria evoluzione non capendo che tutto è già unità.
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