Purtroppo la mente associa la legge di causa/effetto a una sorta di punizione, ma non ha importanza; noi sappiamo che impariamo attraverso i limiti che portiamo, grazie a essi e questo ci libera profondamente, ci alleggerisce e ci conduce al gioco.
“Sono un essere limitato, cado, mi rialzo, cado ancora. Non è drammatico, non ne piango, anzi, l’essere così dà senso alle mie giornate: quando mi alzo entro in officina, tiro su le maniche della tuta e aspetto di vedere il lavoro che mi viene offerto!” Non convieni che questa visione sia profondamente liberatrice? Che la responsabilità ci libera perché ci permette di imparare?
Molto. È liberante, incoraggiante, rivelatore della pienezza di senso del vivere e del nostro starci dentro mani e piedi; se non fosse un termine così fortemente connotato, direi “misericordioso”. Resta difficile, trovo, richiamarlo ad altri quando ti segnalano situazioni esistenziali difficili.
Lo so. Questo perché, quando siamo in difficoltà pensiamo che non doveva succederci, che non ce lo meritavamo o che la vita poteva evitarcelo. La logica della vittima, insomma. Assumersi la responsabilità non dà scampo: è la tua vita, è per te, la tua opportunità, non puoi negarla.
Ma protestiamo; come fai a non protestare se ti si ammala un figlio? Non siamo allenati nel considerare che quella scena accade innanzitutto per noi: prima che per nostro figlio, per noi. Forse, nell’ottica delle varianti, nostro figlio nemmeno la vivrà mai, ma noi la percepiamo ed è quindi per noi. Che cosa ci insegna? In genere non è difficile da discernere: il lasciar andare, il non controllare, l’impermanenza, l’autonomia.
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La responsabilità è il mondo di chi ha superato la visione di sé come vittima, di chi risiede nella propria esistenza e non crede che questa sia un accidente. Come sempre, nel profondo di qualcosa c’è il suo superamento: sono responsabile di ciò che ho compreso, in relazione alle tessere di sentire che si sono strutturate.
Sono responsabile di tutto e di niente, dipende dal sentire acquisito, dalle comprensioni conseguite. Posso sapere qual è l’ampiezza del mio sentire? Non con precisione, con una certa vaghezza; posso avere un’idea che mi è data da che cosa penso, da come mi comporto: questo parla dell’ampiezza del mio sentire.
In questa indefinitezza sono responsabile di tutto e di niente. Che cosa significa? Che su tutto debbo interrogarmi e su tutto debbo imparare ad alleggerire. Se quel fatto mi riguarda perché è sorretto da una comprensione, allora la prossima volta dovrò fare meglio: non è necessario che io mi tormenti perché non sono stato adeguato.
Se quel fatto non mi riguarda perché sento che non è sorretto da una comprensione, lo sento lontano, astratto, allora sarà il caso che la prossima volta io faccia meglio in modo da dispormi a un ampliamento del sentire. In ogni caso il risultato non cambia: posso, debbo, voglio imparare.
Abbiamo la responsabilità non tanto di questo o di quello che dipendono dal sentire conseguito, ma del processo dell’imparare, quello ci compete.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
“Abbiamo la responsabilità del processo dell’imparare , quello ci compete”.
Grazie