Un partecipante: Ma perché la mente nasconde gli scacchi ed evidenzia soltanto i successi?
Una voce: Non è vero che nasconda tutti gli scacchi, difatti tu ti ricordi dei tuoi. Però sorge qualcosa di nuovo solo quando la tua attenzione si sposta su un terreno che ti è non-conosciuto, e resta su quel terreno senza scappare e senza esorcizzare.
Attraverso la tua struttura mentale tu percepisci lo scacco, perché poi la mente misura, ma un conto è ricordarselo genericamente, e un conto è posare l’attenzione sullo scacco, ponendosi l’interrogativo su di esso e su che cosa racconta di te!
Quello scacco può rappresentare un’occasione per esplorare un terreno nuovo. Non è così se la mente resta attaccata ai tuoi vecchi scacchi, piena di essi, o vissuti unicamente come scacchi da esorcizzare in fretta. Il primo passo è proprio posare lo sguardo sullo scacco per vedere cosa ti racconta di te. Non dell’altro, non di un fatto avverso, non di un’ingiustizia. Di te!
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Mentre voi continuate a posare l’occhio su quel che non c’è e su quel che vorreste ci fosse e che c’è in modo diverso. Non siete in grado di riconoscere ciò che c’è, poiché viene esorcizzato e occultato nel suo aspetto profondo, perché quell’aspetto sconvolge la logica che domina l’immagine che vi siete costruiti di voi, dell’altro e della vita.
Il concetto di azione che avete è ben misero, come lo è la modalità con cui poi la mettete in atto. L’azione di esorcizzare impedisce all’umano di scoprire le tante facce delle azioni che compie. Perché quella che l’umano riconosce come azione è sempre una parte esigua dell’azione nel suo svolgersi; questo significa che, nella maggior parte dei casi, l’umano è inconsapevole delle azioni che si attribuisce.
Per voi, quello che conta non è l’azione in sé, ma la definizione che ne date. Eppure basta poco per rendersi conto che l’attività principale dell’umano non è fare o non fare, ma nascondersi questo ed esorcizzare quell’altro, e che l’azione che ne consegue è solo la superficie della profondità dell’azione in sé.
Con [il cessare] dell’occultamento, si evidenzia una profondità. Morta l’attività di esorcizzare, si apre nell’uomo un abisso. Avevamo già parlato di abisso, ed entreremo lì dentro, ma solo come prospettiva.
Tratto da: Scomparire a se stessi (Il morire a se stessi è il morire dell’agente, Download libero)
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Via della conoscenza. Questo è un viaggio a ritroso dentro noi stessi. Un viaggio in cui incontreremo delle strettoie create dalla via della Conoscenza e fatte di radicalità, di provocazioni, di negazioni, di paradossi e di metafore. L’agente siamo tutti noi che ci attribuiamo la paternità delle azioni che si compiono attraverso di noi, ma delle quali siamo i semplici portatori. Saranno messi in luce, e ci si presenteranno davanti, strada facendo, i nostri meccanismi, i nostri concetti e le nostre strutture mentali, e la voce che ci guiderà terrà la barra dritta, impedendoci di deviare.
La via della Conoscenza è una non-via e un non-insegnamento, perché è un contro-processo dei processi della mente. Non suggerisce pratiche e non dà mete, ma è la negazione delle pratiche e delle mete. Non porta alla conoscenza, ma svuota da tutte le conoscenze costruite sul cammino interiore intorno a un “io,” distinto, che cerca una propria evoluzione non capendo che tutto è già unità.
Per ogni informazione e chiarimento: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
La definizione è consolatoria e solo il dubbio ci può aiutare. Mi racconto quello che mi pare sia a me sopportabile.
Vaghiamo con le nostre narrazioni cercando simili o dissimili con cui condividerle e avere conferme.
Se l’impalcatura è in equilibrio perché sottrarsi finché non chiamati a ridisegnare la definizione?