Ne abbiamo già parlato in relazione all’alleggerire ma è necessario che noi si vada, per un attimo, ancora più a fondo.
Direi che i bambini e i pazzi giocano. Chi sono i pazzi in questa accezione? Coloro che, avendo visto le pretese dell’identità, sono capaci di disconnetterle e di aprirsi a una immediatezza dell’esistere. Da dove sorge il vivere immediato? Dal sentire. Fulmine nel cielo.
Ci saranno conseguenze? Sempre ci sono conseguenze proporzionate a ciò che si è mosso, e allora? Non vivo perché ci saranno delle conseguenze? Significa che non mi curo delle conseguenze? No, significa che mi assumo la responsabilità di ciò che muovo e non mi lamento.
Solo se sono disposto ad assumermi la responsabilità delle conseguenze posso entrare nella dimensione del gioco: so che qualunque cosa accadrà sarà per me, proprio per me e allora non ho paura, non ho nulla da temere.
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Ci vuole un tasso di follia per mettersi in questa ottica, non ne convieni? E, se posso giocare, se lascio fluire la vita senza mettermi di traverso, significa che ho compreso che non ho niente da guadagnare e niente da perdere, niente da dimostrare.
Ma come è possibile vivere senza aver niente da dimostrare? Tutti siamo affannati a dimostrare qualcosa: a noi, all’altro. Esiste dunque la vita nella gratuità?
[…] È un po’ come il cammino della coscienza: da “fusa inconsapevole all’Uno”, a “separata e in apprendimento”, a “fusa consapevole all’Uno”. Il bambino non sa di essere, in lui non c’è consapevolezza a questo livello; il pazzo, come lo intendiamo qui, è passato attraverso tutta l’inconsapevolezza e la consapevolezza fino al non-condizionamento.
Noi potremmo dire che tutto quello che chiamiamo vita, trasformazione, divenire, non sia altro che l’accadere degli stati della consapevolezza dell’Assoluto: l’assassino è uno stato, il santo un altro stato; la pietra uno stato, il vegetale, l’animale, l’umano, il sovraumano, altri stati.
Tutta la manifestazione, la rappresentazione, il creato, non sono altro che lo scorrere, il dischiudersi logico della consapevolezza assoluta. Di necessità, per una regola che evidentemente è inscritta nell’essere, ogni sentire, attraverso le esperienze, acquisisce consapevolezza di sé: di esistere, di provare sensazioni, emozioni, pensieri, sentire di vario grado.
Prima si struttura il corpo delle sensazioni, poi quello delle emozioni, poi quello del pensiero, poi quello del sentire, poi altri, evidentemente, finché la consapevolezza sperimentata attraverso i veicoli non è completa: allora è la consapevolezza dell’Uno, totale, completa a cui nulla può essere aggiunto e che tutto contiene.
Il bambino e il pazzo fanno una cosa importante e fondamentale: essendo liberi dal dover dimostrare non concatenano, non legano pensiero a emozione, ad azione. Questo caratterizza il loro stato, anche se nel caso del bambino, non essendo integrato in un insieme consapevole e responsabile, non è indicativo, in quei termini, per un adulto.
Ma un adulto, illuminato da consapevolezza e responsabilità, può ugualmente imparare a non connettere pensiero, emozione e azione, può disaggregare consapevolmente questa concatenazione. Ne parleremo più avanti in relazione alla disconnessione, per ora ci basta sapere che laddove l’umano è libero dal dover dimostrare vive anche la leggerezza di non dare troppa importanza alla coerenza/connessione tra pensiero-emozione-azione.
L’umano, non dovendo essere necessariamente coerente rispetto a un’immagine di sé costituita, perché è consapevole che questa è un artefatto, può vivere la sua incoerenza, ovvero fondare il suo quotidiano sulla consapevolezza del suo limite e dei processi di apprendimento e trasformazione nei quali è inserito, senza dover dimostrare quello che non è.
Ci libera il non dover essere quello che non siamo e l’arrenderci a quello che siamo, sapendo che domani lo avremo superato attraverso le esperienze di oggi.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
Trovo appropriata l’immagine del bambino e del pazzo che sono nella dimensione del gioco, non dovendo collegare pensiero, emozione, azione. Il loro operare è nella completa disconnessione tra azione e azione.
Pur conoscendo l’esperienza della disconnessione, non riesco, per limite mio, a leggerla nella prospettiva del gioco.
Giocare senza per questo perdere la responsabilità del proprio gioco.
Chiamare il camion dei traslochi dei propri ingombri e camminare così più leggeri e puntuali.
Come un funambolo.