Qual è la differenza tra esistere ed essere? Chi esiste e chi è? Perché facciamo questa distinzione? Proveremo a trovare le parole per descrivere la vita oltre le dinamiche dell’esistere, oltre la manifestazione e la rappresentazione, cercando di mettere a fuoco quelle poche, essenziali disposizioni interiori che possono permettere l’affermarsi dello stato di essere.
Dovrebbe essere abbastanza chiaro che cos’è l’esistere sul quale siamo comunemente focalizzati e che assorbe le nostre forze, la nostra volontà, la nostra dedizione.
La riflessione sull’essere ci porterà ad aprire una nuova prospettiva, la possibilità di vivere nell’essere e nell’esistere simultaneamente: non l’uno o l’altro come se fossero inconciliabili, ma l’uno dentro l’altro, l’uno radice dell’altro.
Due livelli di consapevolezza simultaneamente presenti e di cui possiamo essere pienamente consapevoli nello stesso identico tempo, non in tempi successivi e alterni. Dentro l’accadere, nel presente, la consapevolezza del divenire dell’esistere e dello stare dell’essere.
Per arrivare a questo dovremo definire che cos’è l’esperienza della dimensione dell’essere, chi la sperimenta e le condizioni per sperimentarla. Poi, nel capitolo successivo, affronteremo le due esperienze, i due stati di coscienza e consapevolezza, nella loro simultaneità.
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Abbiamo parlato di apprendimento, trasformazione e ampliamento del sentire, di esperienze e comprensioni, di ego ed amore, di officine, dell’altro come maestro: mentre tutto questo accade, ed è l’esistere, mentre l’attore porta a rappresentazione il sentire e i suoi processi, com’è, cos’è la vita del sentire?
È accessibile consapevolmente? Non solo: l’essere è relativo alla vita della coscienza o è anche qualcosa che la coscienza precede, più vasto di essa?
L’essere è la condizione che precede il divenire: l’attore è nel divenire; il regista è, in parte consistente, nel divenire. L’essere precede il processo dell’apprendere che è la spinta creativa del divenire, la sua ragione, ciò che lo genera.
Il dilatarsi della consapevolezza conduce non soltanto al dischiudersi della natura del presente come divenire, ma, anche e soprattutto, al dischiudersi della natura profonda di ogni fatto che prima di esistere, è.
Il fatto che sotto i miei occhi vedo divenire, nella sua natura più profonda non diviene, non è immerso nella successione temporale, ma è oltre il tempo, oltre la successione, oltre il divenire. Il divenire è la conseguenza della percezione, in sé la realtà non diviene. (Si legga al proposito l’insegnamento del Cerchio Firenze 77).
L’essere è lo stare che tutto fonda; è l’esperienza dell’umano di tutto ciò che precede la rappresentazione; è ciò che l’umano può cogliere dell’infinito mondo che dà origine alla piccola rappresentazione nella quale è immerso e identificato. L’essere è abbozzo dell’esperienza dell’Assoluto.
Chi sperimenta questo? L’identità, con i suoi sensi limitati; la coscienza, anch’essa nella sua limitazione; gli altri piani e corpi che costituiscono la consapevolezza e la irradiano attraverso i vari veicoli. L’essere è esperito dall’insieme, non da una parte: essendo l’insieme è colto dall’insieme.
L’umano consapevole si trova a sperimentare il fatto, l’intenzione che l’ha generato, la spinta che dà luogo all’intenzione, e, infine, la consapevolezza che non c’è spinta, non c’è intenzione, non c’è fatto. Tutto e la negazione di tutto. Pura follia. Come faremo a portare il lettore su questo terreno assurdo, dove tutto nega tutto e sembra così lontano dalla vita, dall’esistere?
E perché dobbiamo trattare questo, che cosa ne viene a noi e a chi ci legge? Scorrendo le pagine, i paragrafi, i capitoli, diverrà chiaro il perché ma, intanto, tu perché credi che noi si possa parlare dell’essere, perché lo si debba ricercare, perché mai l’umano dovrebbe vivere simultaneamente l’esistere e l’essere, il divenire e lo stare, per diventare pazzo?
Oppure noi parliamo di qualcosa che non può essere eluso perché è il passo successivo che attende molti di noi e, il parlarne, ci apre la strada, illumina il sentiero, chiarifica il procedere? Perché questa è l’evidenza che l’umano mai vede tranne quando è giunto a un certo punto del suo cammino: allora coglie, con maggiore o minore chiarezza e consapevolezza, che niente di quello che ha definito la sua vita ha consistenza e allora inizia ad aprirsi ad altro, a un’altra condizione della quale fa però difficoltà a riconoscere le coordinate.
L’umano si pone queste domande perché sperimenta la perdita di senso: la vita non è quella che ha creduto, la vita forse non è. Lui che aveva sempre pensato e sperimentato l’esserci, pian piano acquisisce la consapevolezza del non esserci, della non esistenza di ciò che chiama reale.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
Si sperimenta la simultanea’ di essere e esistere, in forma chiara, durante lo zazen.