La via della Conoscenza presenta una diversa tipologia di azione che fa risaltare ciò che c’è, quindi un nuovo modo di concepire l’azione come disvelamento di ciò che c’è, e non come aggiunta o come modifica.
Un partecipante: Ma, allora, perché agire?
Una voce: Soltanto se nasce il fascino per questa diversa prospettiva, si può posare l’occhio su un diverso tipo di azione, altrimenti tutto questo discorso sembra solo astrusità: sembra non verosimile.
Un partecipante: Una non-azione?
Una voce: L’azione di disvelamento non è l’azione di aggiungere o di togliere, di aggiustare o di modificare per raggiungere lo scopo che voi usate per implementare. Lo scomparire dell’agente spazza via solo l’agente, non l’azione: essa permane, però non appartiene più a nessuno.
Voi avete un modo di concepire l’azione che vi fa mantenere l’immagine della vita come continuità di implementazione. Ad esempio, quando concepite un’azione come carente, allora implementate togliendo oppure aggiungendo qualcosa, perché il concetto che avete di azione è la conseguenza della visione della vita che vi siete costruiti.
Nell’azione che è semplicemente riconoscimento, cioè quella che nega la vostra, è possibile capire il senso della sfilata, del semplice presentarsi della vita, del tempo che bussa, del primo quadrante[1] e della disconnessione. Perché l’azione, vissuta nel suo disvelare, è disvelamento adesso, è disvelamento poi ed è disvelamento dopo disvelamento.
Non confondete questo con la continuità. Il disvelamento, pur riproponendosi, è un’azione che sottolinea la discontinuità, e quindi la puntualizzazione. La vita si presenta in tanti atti, gesti e accadimenti, tutti puntualizzati: nascono e muoiono, e anche se sembrano ripetersi nel nascere e scomparire, sono sempre nuovi. L’azione in sé è puntualizzata: inizia e finisce, e non aggiunge niente che possa riguardarvi, ma mette in luce, poi termina e ne comincia una nuova. La tipologia dell’azione implementante non è mai esaustiva ma è continuativa, mentre l’azione in sé è sempre puntualizzata.
Come abbiamo già detto, la domanda che sorge in voi è che senso può avere un’azione di questo tipo. Nessun senso legato alla logica della mente, anzi, la sconvolge perché nell’azione in sé c’è semplicemente il lasciarsi riconoscere.
Non è così l’agire che si è strutturato nella mente, che vi fa raggiungere un risultato per tentativi di implementazione e sempre sulla base delle sue strutture. Ed è sempre la mente che vi fa credere che la verità o la realtà, da voi ricercata soprattutto nel processo evolutivo, si raggiunga per implementazione. Per raggiungerla, vi affidate al principio di causa-effetto, a quello di connotazione e a quello di connessione.
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Ma se prendiamo in considerazione un’azione in sé, che è semplicemente constatare ciò che c’è già, che cosa potete pensare?
Un partecipante: È un paradosso, perché nel termine “constatare” è forte l’immobilità, e non l’agire.
Una voce: C’è davvero un non-fare, oppure c’è altro? Lo vedremo.
L’azione senza implementazione rappresenta la vostra totale non-significanza come protagonisti, e quindi per voi è la morte di tutti i significati. Perché per l’uomo è provocatorio sentirsi sconfessare l’importanza dell’azione implementante, insieme a quella del pensiero, al quale lui dà il compito di implementare le azioni. Se lasciato scorrere libero, ogni pensiero nasce e muore senza strascichi.
Abbiamo detto che nel pensiero c’è anche l’azione pensata, quindi il pensiero è già carico della visione sottostante all’azione implementante. Questo porta ogni vostra azione a essere strettamente legata ai pensieri che formulate: in voi non esiste pensiero senza che dentro ci sia il concetto di azione implementante. Poiché voi il pensiero lo articolare secondo la visione che avete del mondo, allora l’azione pensata riflette, alimenta e lega insieme pensieri e azioni.
L’azione pensata, che si articola solo attraverso un’implementazione, sovrasta il pensiero che fluttua, di cui stentate ad accorgervi. Nel vostro percorso interiore, l’importanza la attribuite all’efficacia dell’azione implementante, connettendo pensiero, azione ed emozione anche quando li considerate inadeguati. Inadeguati, cioè disconnessi, e subito il sistema d’ordine della vostra mente cerca di ridare loro una logica unitaria e una migliore connessione e armonizzazione. Anche quando incontrate l’alterità mettete in atto un’azione implementante, la cui verifica avviene già dentro l’incontro. Voi state attenti alla non-prevedibilità ed alla non-governabilità che presenta l’alterità, sia per quanto riguarda il mondo umano, sia il mondo degli animali o quello immateriale.
[1] Nella via della Conoscenza, il primo e il secondo quadrante sono due immagini simboliche utilizzate per comprendere la totale e incolmabile diversità fra la vita in sé e i concetti sulla vita costruiti dalla mente. Nel primo quadrante c’è la vita in sé e la realtà dell’accadere, di ciò che è, dell’impermanenza e della disconnessione. Nel secondo quadrante viene descritta la vita come l’uomo la concepisce, cioè come mondo della mente, fatto di concetti e di ciò che non c’è. I due mondi sono totalmente distinti e assolutamente non compenetrabili.
Tratto da: Scomparire a se stessi (Il morire a se stessi è il morire dell’agente, Download libero)
Scomparire a se stessi, tutti i post del ciclo
Via della conoscenza. Questo è un viaggio a ritroso dentro noi stessi. Un viaggio in cui incontreremo delle strettoie create dalla via della Conoscenza e fatte di radicalità, di provocazioni, di negazioni, di paradossi e di metafore. L’agente siamo tutti noi che ci attribuiamo la paternità delle azioni che si compiono attraverso di noi, ma delle quali siamo i semplici portatori. Saranno messi in luce, e ci si presenteranno davanti, strada facendo, i nostri meccanismi, i nostri concetti e le nostre strutture mentali, e la voce che ci guiderà terrà la barra dritta, impedendoci di deviare.
La via della Conoscenza è una non-via e un non-insegnamento, perché è un contro-processo dei processi della mente. Non suggerisce pratiche e non dà mete, ma è la negazione delle pratiche e delle mete. Non porta alla conoscenza, ma svuota da tutte le conoscenze costruite sul cammino interiore intorno a un “io,” distinto, che cerca una propria evoluzione non capendo che tutto è già unità.
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