L’essere, la dimensione esistenziale che ‘precede’ l’esistere, ‘appoggia’ sul limite ed è sperimentabile a noi proprio perché limitati. Tutto il dispiegarsi dell’esistenza s’innerva a partire dalla pressione che sorge dall’essere limite.
Il limite, in tutta la sua ampiezza che va dal primo all’ultimo grado, non è altro che il viaggio della consapevolezza dall’ignoranza alla piena comprensione. Cercherò di spiegarmi.
Chi è limitato? L’identità – intesa come interpretazione/comprensione di sé – e i suoi corpi sono limitati.
La coscienza è limitata.
La manifestazione di coscienza/identità è limitata.
Cosa significa limitata? Non che è parte, ma che si concepisce come parte, che ha una consapevolezza di parte.
Ciò che determina il limite non è la manifestazione circoscritta, la delimitazione nella forma o nel tempo, questo è solo la conseguenza di una limitazione di consapevolezza la quale, a sua volta, è la risultante di una comprensione incompleta.
Comprensione-consapevolezza-limite, questa è la sequenza. Noi siamo limite perché tali ci concepiamo.
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Bene, perché questo dal nostro punto di vista invece di essere un handicap è una possibilità, la prima delle possibilità? Perché nel limite è contenuta la dinamica, la forza, l’impulso a superare se stesso.
Ecco perché diciamo che al centro ci sono le esperienze e perché è necessario osare: sperimento con il mio limite, oso a partire dal mio limite ma so che attraverso quella limitazione potrò imparare. Ogni limitazione tenderà a superare se stessa se è vissuta come possibilità e se non si indugia nell’autocommiserazione e nel vittimismo.
Perché? Perché nella consapevolezza del limite, nel subirne le conseguenze, siamo frustrati e questo stato è un grande maestro e ci sprona a fare, pensare, sentire diversamente.
Limite, frustrazione, consapevolezza procedono assieme: il limite genera la frustrazione e questa la necessità di interrogarci sul nostro stare o soffrire. I tre generano una dinamica che può avere due sbocchi:
-l’autocommiserazione;
-l’assunzione di responsabilità e l’osare.
Tu sai che esistono scuole di pensiero che parlano del fare dei propri talenti un punto di forza e questo, naturalmente, lo pensiamo anche noi, ma aggiungiamo che senza la piena integrazione, accoglienza, accettazione del proprio limite non c’è il vero sorgere di una forza propulsiva e creativa. Senza questa integrazione c’è un’azione di “doping”, niente di sano.
Il viaggio dell’umano inizia dicendo: “Sono un essere limitato, accolgo il mio limite, so che la vita mi porterà oltre esso”.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
mi rendo conto di non essere consapevole di tutti processi che attraverso .
Mi concepisco nei miei limiti e grazie a questo sentire e alle esperienze che ne derivano esiste una possibilità di andare oltre me.
Quel “doping” a cui si accenna, è cosa comune in molti ambienti new age.
Più difficile accettare la fatica ed il dolore che un percorso di conoscenza può offrire.
Eppure non rifuggendo dalla sofferenza, ma solo conoscendola possiamo aprirci alla vera compassione.