Non è un problema se sono un essere limitato [sentiero57]

Che cosa accade quando noi siamo, finalmente, consapevoli del nostro limite e lo accogliamo senza più protestare? Accade che ci “de-tendiamo”. Ti è mai capitato di entrare in una chiesa, una sala di meditazione, un monastero e di avere la chiara consapevolezza di essere entrata in un’altra dimensione di sentire?

Casa, pace, quiete, lasciar andare, stare. Così è quando noi smettiamo di combattere contro noi stessi, si apre una prospettiva esistenziale nuova: non finisce la ricerca ma quella pressione che sempre avevamo percepito e che ci aveva condotto in modo inquieto, si attenua, cambia natura.

“Non è un problema se sono un essere limitato, mi sento libero dal non dover essere perfetto: l’Assoluto è perfetto, basta Lui!” Rappresento un grado della consapevolezza dell’Assoluto, un grado limitato e non completo? E allora, che importa a me?

Quel sentire che chiamo me è quel che è, piccolo, grande, e a chi importa e perché dovrebbe importarmi? Se mi importasse ci sarebbe ancora tensione e spinta al divenire e invece dico con tutta serenità: “Sono quel che sono, prendetemi così”. Domani sarò diverso, ma oggi così è.

In questa accoglienza di sé, nella scomparsa dell’identificazione con il “debbo essere altro”, in questa resa, sta la chiave di una esistenza, dell’esistere. Mi arrendo a quel che è. Finito.
Solo nella resa si apre lo spazio perché la resa non ha, in sé, la tensione al divenire: la resa è un basta, finito, così è.

Lì si apre lo spazio oltre il limite perché lì la mente non combatte più: se la mente non combatte, non è protesa, non è in tensione su di un obbiettivo, allora non è al centro, la consapevolezza non è su essa focalizzata ma vibra su tutti i piani simultaneamente; allora si apre lo spazio sterminato del sentire ma non solo di esso, uno spazio grande, non condizionato.

Accogliersi è un’azione complessa, non si accoglie solo sé, si accoglie: una volta finito il conflitto, la gran parte del nostro vivere diviene piegarsi, lasciar accadere e, molte volte, inchinarsi.
Questo non ha niente a che fare con la passività perché è sempre associato con la responsabilità.

L’accoglienza di sé apre le porte all’accoglienza dell’altro, l’amore di sé all’amore dell’altro, come direbbe il Maestro.

Tutti i post ‘Le basi del Sentiero contemplativo’
NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.

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Luciana Ruzziconi

Inchinarsi a quel che si è.
In questa riflessione comprendo dove sovente mi fermo e non permetto di aprire quello spazio.

Natascia

“Accogliersi è un’azione complessa, non si accoglie solo sé, si accoglie.”

Colpiscono queste parole.
Le accolgo e lascio che lavorino.

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