“Nella nostra banalità”, hai detto a un certo punto; sì, nella nostra banale irrilevanza è la chiave per incontrare sé, l’altro e una possibilità di libertà.
L’irrilevante può scorgere l’essere. Lo spazio dell’esistere è lo spazio dello zero.
Cos’è lo zero? È ciò che sostiene tutta la realtà, quella che chiamiamo realtà. La natura autentica della realtà, ciò che essa è al di là del fatto che diviene. Le fondamenta su cui appoggia la percezione dell’essere vivi, del muoversi, fare, provare, pensare, sentire.
Lo zero non è il niente, né il nulla; non connota l’assenza, la privazione, la rinuncia. Lo zero è una condizione d’essere, è l’essere.
Nessuna aggiunta, nessun ricamo, nessun bisogno, nessuna necessità, nessuno scopo. Zero. Spazio neutrale.
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- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
Tu consoci questo ed è per questo che noi possiamo dialogare; se tu mi portassi il circo dei fenomeni, degli entusiasmi, delle energie sfavillanti, non avremmo niente da dirci.
Silenzio. Stare.
Un gesto. Pausa.
Una parola. Pausa.
Un verso della civetta nella notte. Pausa.
Lo zero è la roccia sulla quale fondiamo il nostro cammino interiore. Che cos’è? È l’esistere senza esistente. Solo se scompare colui/colei che si interpreta come essente, solo allora si affaccia l’esperienza dello zero.
Mentre parli, se la consapevolezza è simultanea, le parole sorgono dallo zero.
Mentre cammini, lavori, mangi, se la consapevolezza copre tutti i piani, ciascuna di quelle esperienze sorge, lievita dallo spazio dello zero.
Dobbiamo fare uno sforzo: zero, spazio, non sono assenza, sono la totalità della realtà così come è da noi, in quel momento, contattabile, sperimentabile.
Qui non parliamo dello spazio tra parola e parola, tra gesto e gesto, non parliamo delle pause, non parliamo di un elemento di una sequenza nel divenire: parliamo della sostanza della realtà.
È un’esperienza per iniziati? No, è un’esperienza per tutti e di tutti, ma non la sappiamo riconoscere, anzi la fuggiamo. Molti di noi impiegano energie rilevanti nel fuggire da quel senso così vasto e spazioso e pregnante, e lo fuggono perché lo avvertono ignoto e ne vengono angosciati.
Lo avvertono come un gorgo e temono di esserne inghiottiti. Si, è un gorgo e ci inghiotte, a un certo punto, inesorabilmente.
Bisogna saperlo riconoscere, è il frutto delle disconnessione, del lasciar andare, del lasciar morire.
È uno dei volti del senso, dell’esperienza del senso della vita. La vita si nutre dello zero, è lo zero declinato, lo zero da cui sorge l’uno, il due.
Dall’accettazione, dall’accoglienza, dalla disconnessione nasce quel germoglio che diventa virgulto e invade la vita.
Abbiamo paura di essere invasi dallo spazio, dallo zero, dall’assenza; abbiamo paura della natura profonda dell’essere e dell’esistere di quel qualcosa che chiamiamo noi.
Non è possibile, dobbiamo arrenderci:
- l’accoglienza di sé, in una prima fase, conduce al benessere dell’esserci, del vivere, dell’esistere;
- la disconnessione, nella fase immatura, fa emergere libertà, potere, creatività, dovuti al rarefarsi del condizionamento.
In una fase matura entrambi aprono sullo zero, sono il lievito dello zero. Perché abbiamo paura di incontrare la radice del nostro essere ed esserci?
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
Mi accorgo che quello zero, quella pausa, diventa necessaria come l’aria.
Pena un malessere generalizzato che fa emergere stress e stanchezza non imputabile ad una fatica fisica.
Lo stare, riequilibrare i corpi.