A noi sembra un paradosso che possa esserci percezione senza soggetto percipiente, ma così è. Il percipiente è la derivante di un processo di attribuzione, non un dato di realtà.
Il gesto dell’identità che si attribuisce quel dato è solo un gesto di auto-attribuzione di un fatto esistente: tutto il funzionamento dell’identità è basato su questo gesto, non esiste infatti un corpo dell’identità, qualcosa che abbia una sua vita, una sua organizzazione, è l’auto-attribuzione che determina il sentirsi d’essere come identità.
Va considerato che quel sentirsi d’essere dell’identità ha un collegamento diretto con una qualità dell’essere, ma adesso non andiamo a complicare cose già abbastanza complesse.
Ora, sul piano dell’essere il soggetto scompare, l’identità è solo un fatto sbiadito, un insieme di connessioni artefatte che si sviluppano in lontananza.
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- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
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L’identità, il soggetto, viene osservato con la stessa inclinazione contemplativa con cui vengono osservati il pensiero e tutto il resto. È solo un fatto, ancora più sbiadito degli altri fatti; non ho detto assente, ma sbiadito. È evidente alla consapevolezza che è un fatto.
L’essere non è un fatto. L’essere è, genera i fatti, li contiene: i fatti sono manifestazioni dell’essere.
Da quell’essere, che non è un osservatorio ma un livello di comprensione, tutta la realtà appare in modo trasmutato: un’immagine efficace potrebbe essere quella dell’immersione in acqua, in profondità, dove tutto il mondo accade ma c’è una distanza, un’attenuazione, uno smarrimento forse, per uno stare così altro.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
“A noi sembra un paradosso che possa esserci percezione senza soggetto percipiente, ma così è. Il percipiente è la derivante di un processo di attribuzione, non un dato di realtà.”
Quello che affermi significa che le piante percepiscono il caldo e il freddo, la siccità e l’umidità e via di seguito senza attribuirlo a se stesse, percepiscono e basta, e modificano le proprie reazioni in base ai dati percepiti, in modo istintuale.
Nella scala evolutiva animale dobbiamo ritenere che gli animali più prossimi all’uomo, pur non avendo una identità ancora ben definita, non si attribuiscono le percezioni che arrivano loro dall’ambiente o le emozioni?
Per quanto riguarda l’uomo mi sorge questa domanda: Se non si attribuisse le percezioni, le emozioni, i pensieri, le sensazioni, sarebbe possibile per lui l” apprendimento?
Del resto Il cak non si serve dei corpi inferiori e dunque dell’identità, proprio per compiere esperienze da cui ricava dati?
Pertanto mi sembra che il problema sia da ricondurre non tanto al non attribuirsi le percezioni, quanto a imparare a identificarsi sempre meno coi ricami che la mente fa attorno alle percezioni.
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Il tema dell’identità, del comprenderne lo scopo, la capacità di osservare dall’alto, la piena consapevolezza dell’Essere, sono tutti aspetti in cui inciampo ogni giorno ed ogni giorno cerco di cogliere un tassello, che spero, mi porti ad una maggior consapevolezza e comprensione.