L’affiorare dell’essere: 3- senza osservatore e silente [sentiero62]

Dicevo sopra che l’essere non è un osservatorio ma un livello di comprensione. Come scompare il soggetto scompare anche l’osservatore legato al soggetto.

Nel momento in cui l’essere e l’esistere sono integrati e l’esistere non è che specchio dell’essere, la consapevolezza non si sviluppa più attraverso lo sguardo di quell’osservatore simultaneo che abbraccia tutti i piani e monitora tutti i sensi: viene superata l’esperienza della consapevolezza ordinaria, ma questo sarà l’argomento col quale concluderemo questo libro.

4- Silente

Entrare nella dimensione dell’essere è entrare, almeno per me, nella dimensione del silenzio, inteso non come assenza delle attività dei corpi dell’identità, ma come dimensione che tutto sostiene e tutto avvolge.

È un silenzio/assenza/presenza, è la terra che sostiene e alimenta la pianta, l’insieme terra/pianta/cielo.

Noi guardiamo la pianta e l’isoliamo come se fosse un essere a sé: questo è un gesto tipico della mente che tutto separa, isola, atomizza. Ma c’è un altro modo di guardare la pianta, come un insieme: la terra ha la sua funzione; le radici, il fusto, le foglie, il fiore hanno la loro; gli elementi dell’aria, il sole, ancora la loro.

La pianta è processo e relazione sostenuta da un’intenzione: il processo della pianta è temporale e inserito nella rappresentazione; l’intenzione che la sostiene è atemporale e solo nella manifestazione si dispiega, in potenza semplicemente è.

L’essere è l’esistere in potenza.
Quando affermo che lo si sperimenta come silente voglio significare che noi non abbiamo sensori e sistemi di decodifica tali da riuscire a percepire il piano dell’intenzione e quindi lo sperimentiamo come un grande spazio rarefatto e silente.

Sono incerto sul termine rarefatto, non so se sia congruo. Silente si, di quel silenzio pieno, pregno di presenza: contiene una dimensione che è mistero, sorgente misteriosa.

Tutti i post ‘Le basi del Sentiero contemplativo’
NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.

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Catia Belacchi

“Entrare nella dimensione dell’essere è entrare, almeno per me, nella dimensione del silenzio, inteso non come assenza delle attività dei corpi dell’identità, ma come dimensione che tutto sostiene e tutto avvolge.”

Quello che dici mi corrisponde anche se, sicuramente, ogni esperienza di vivere il silenzio è personale.
Per questo CdC il silenzio è una necessità, un manto che nel profondo avvolge, sostiene e fa misurare il dire.
Sì, è nel silenzio che si sperimenta l’ essere, “come un grande fatto rarefatto e silente” ma pieno di presenza, come tu affermi.
Direi che non esiste altro termine da sostituire a rarefatto.
Mi vengono in mente volute leggere di batuffoli trasparenti di nuvole.

Una cosa però non capisco.
Perchè affermi che l’essere è l’esistere in potenza?
Non è invece un esistere in potenza e contemporaneamente in atto?

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