Sostanza della meditazione: 2- lasciare [sentiero74]

Che cosa sta accadendo? Cosa c’è nel pensiero, cosa nell’emozione, cosa nell’azione, cosa nell’intenzione?

Ora che la fuga si arresta e mi vedo, dove è sparso il mio essere? Quanto è frantumato in identificazioni parziali e quanto ho perso quella visone d’insieme, quel sentire l’insieme?

Il ritorno inizia dalla consapevolezza del corpo, del respiro, delle mani, dei piedi appoggiati, delle cose più semplici e più immediate che costituiscono l’accadere di adesso. Da un lato le mille identificazioni, dall’altro l’incedere ritmico del respiro, le mani che si fanno pesanti.

Tornare, venire qui, nella semplicità dell’accadere, lasciare il flusso dei pensieri e di tutto il resto. Lasciare.

Non puoi fare un passo se non lasci quello precedente; non puoi inspirare di nuovo se non espiri; non puoi vivere se qualcosa di te non muore.

Non c’è apertura al possibile se non c’è la coltivazione incessante del gesto del lasciare: tutto si crea dal lasciare.
La vita nasce dal perdere. Il seme, come natura di seme, lascia il passo a qualcosa che contiene: la natura di germoglio.

Il passato libera il presente e il presente libera il futuro; più è radicale il gesto del liberarsi di ciò che è stato, più si supera il limite di comprensione che quello conteneva e ci si apre verso una possibilità di esperienza, di conoscenza, di comprensione nuovi.

Occorre liberarsi di un limite di comprensione e, per farlo, è necessario essere nell’esperienza presente con tutta la consapevolezza e la dedizione possibile: solo dall’esperienza sorge la trasformazione del sentire, solo quando intenzione, mente, emozione ed azione sono allineate in un accadere.

Nell’adesso che accade so che si gioca la partita dell’apprendimento, dell’ampliamento del sentire: non voglio essere condizionato da ciò che ho compreso, non più di tanto; voglio rompere gli argini del già compreso per lasciarmi invadere da un’onda più vasta.

Ecco perché lasciamo ed ecco cosa lasciamo: la mente con i suoi recitati, la coscienza con i suoi limiti.
Attenzione su questo: non lasciamo solo la mente, l’identità per risiedere nel paradiso del sentire: lasciamo anche il sentire e ci apriamo sull’essere che trascende il limite del sentire.
Non è un lasciare l’ingorgo dell’identità, è un lasciare tutto.
Non è un uscire dall’ombra per entrare nella luce dello spirito, dell’essere, del Sé.

È un lasciare, un lasciare, un lasciare per andare incontro all’ignoto, al non-essere, allo scomparire, alla trasparenza che unica è condizione per non trattenere niente.
Nella meditazione non c’è la danza tra identità e coscienza e non c’è il transito dall’esserci al sentire: meditare è entrare nello spazio dell’essere non qualificato e non qualificabile.

Lasciare è un gesto radicale: lasciare tutto.
La meditazione non è il gesto più sacro del ricercatore di sé, è la distruzione di ogni ricerca, di ogni via, di ogni processo, di ogni ipotetica smania di costruire qualcosa.
Deserto. Sabbia. Serpi. Rare erbe rinsecchite. Vento. Caldo. Freddo. Oasi. Verde. Acqua. Affetti. Sabbia. Sabbia. Spazio, Spazio.

Se entro nella meditazione per scoprire il mio vero Sé sono un mercante, siamo al mercato delle vacche.

Lasciare senza condizione.
Lasciare senza aspettativa.
Lasciare senza rimpianto.
Lasciare è accettare di morire, ogni volta, per sempre.

Questo testo è parte dei capitoli 3 e 4 del libro L’Essenziale; mentre li pubblichiamo ne verifichiamo anche il contenuto a 10 anni dalla loro estensione. A revisione completata, renderemo disponibile l’intero volume: qui i capitoli 1 e 2 già revisionati.

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Catia Belacchi

Quando siedo in zazen, non penso al lasciare, il corpo sta con la sua postura e i suoi fastidi, la mente vagola, le emozioni di solito sono quiete.
Mi vien da dire che nello stare in quella postura, inermi, c’è già un lasciare.

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