Colui che non è, il meditante, è colui che sta e, scendendo nel processo, è lo stare.
Lo stare non sa che farsene del meditante, non esiste alcun meditante, esiste lo stare.
Non esiste più alcun processo, solo lo stare, abbandono senza condizione.
La pietra si lascia piovere addosso; si lascia calciare da un bambino, si lascia orinare sopra da una donna con la vescica piena in una angolo di strada.
La pietra non ha condizioni da porre perché è oltre l’esserci: l’essere non conosce il condizionamento, è quel che è e non diviene.
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L’abbandono senza condizione della vela al vento, del ramo al fiume, dell’umano alla vita.
Irrilevanti nell’immenso disegno veniamo portati.
Chi viene portato? Nessuno che dica io di sé.
Chi c’è non può essere portato, l’essere è condotto in ogni dove e oltre ogni dove.
L’essere è immobilità e divenire e superamento di immobilità e divenire: l’essere è l’uno che contiene il due.
L’essere è la condizione, il suo superamento, l’assenza di condizione e di superamento.
L’abbandono, ora questa parola può suonare diversa: nello spazio, nello zero, nell’essenziale l’abbandono è la nota che tutto questo pervade.
È scomparso colui che resiste, l’esserci, e rimane “qualcuno” il cui nome è “abbandono”.
Questo testo è parte dei capitoli 3 e 4 del libro L’Essenziale; mentre li pubblichiamo ne verifichiamo anche il contenuto a 10 anni dalla loro estensione. A revisione completata, renderemo disponibile l’intero volume: qui i capitoli 1 e 2 già revisionati.
Conosco lo stare della pietra, ma la consapevolezza oscilla tra l’essere e l’esserci.
…nella Tua mano abbandono la mia mano, certa che mi condurrà, là, dove è bene che io sia.