Una voce: L’uomo si considera una globalità unitaria fatta di emozioni, di comportamenti e di pensieri, e pertanto si costruisce un’identità fondata sulla connessione di quei tre aspetti, per poi potersi dire: “Esisto come centro di un’individualità da far diventare sempre più armonico”.
Ma quell’unitarietà, da rendere sempre più solida e più coerente, è frutto dell’estendersi del vostro passato fino al tempo presente, ed è anche l’occultamento di ciò che accade davanti a voi. Così potete dirvi “Sono io perché c’è l’esperienza del passato che mi appartiene, c’è il presente che vivo alla luce di quello che ho appreso da come ho vissuto e che determina quello che sono oggi; da questo si genera una mia prospettiva sul futuro”.
Per mettere in atto un processo di trasformazione, e per dar sostanza a quel centro di identità che si riconosce in un soggetto/agente, avete bisogno di attribuirvi un’unitarietà che inizialmente sia “incompiuta”, per poterla poi completare e affinare al fine di raggiungere la meta della perfezione. Questo però significa che mai si esaurirà quel vostro compito, perché, ogni volta che alzerete le pretese nella via interiore, si ripresenterà ai vostri occhi una nuova e più sottile incoerenza che renderà imperfetto e insufficiente ogni vostro passato sforzo evolutivo.
E ora esploriamo come l’uomo concepisce l’azione che compie, e anche come si considera e si definisce, indipendentemente che si definisca come un qualcuno che ha conquistato, o come un qualcuno che si è perso: pieno o vuoto.
L’azione, di cui l’uomo si fa protagonista, è sempre marchiata dalle intenzioni, dalle abitudini, da come lui interpreta la realtà e da come concepisce le relazioni. Ma quando non è possibile attribuire l’appartenenza dell’azione compiuta a un soggetto/agente, allora frana la teoria per la quale agente e azione non siano scindibili.
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Abbiamo detto che l’uomo si considera una globalità, cioè un insieme di azioni, emozioni e intenzioni – che sono pensieri implementanti – che lui orienta verso una finalità che può essere materiale o spirituale. Il fatto di intestarsi la proprietà delle azioni gli permette di pensare: “Io sono globalmente in quell’azione, e quindi posso dire che a quell’azione appartengono i miei pensieri, le mie emozioni, le altre azioni che io ho compiuto in passato e tutte le mie finalità. E anche se quell’azione è disarmonica nelle sue diverse componenti, comunque mi appartiene”.
È proprio in quel “mi appartiene”, che l’uomo si stringe alla sua struttura mentale, e lì si identifica. Pertanto, restringendo l’azione alla propria globalità, l’uomo continua a concentrarsi sul suo limitato orticello, non sulla vastità del mondo in sé, e inoltre, continuando a puntare lo sguardo sulle proprie inadeguatezze, non fa che rinforzare il proprio centro di identificazione, e attorno a esso stringersi.
Voi non siete la vostra azione: ne siete l’appropriazione, e lì vi attaccate anche quando la giudicate insufficiente, perché comunque vi dà identità. Così come siete l’appropriazione delle emozioni, attaccandovi lì persino quando non vi piacciono perché esuberanti, ma comunque vi danno identità. E siete l’appropriazione anche dei pensieri, persino quando cercate di scacciarli, poiché comunque rinforzano la creazione di un’identità tutta vostra.
Ma a chi appartiene l’azione? Non c’è risposta. Alla morte di questo interrogativo – pur mantenendo il senso di responsabilità per ciò che si compie, per ciò che si pensa e per i sentimenti e le emozioni che si vivono – entra in crisi il pilastro fondamentale della via evolutiva, che è l’importanza che assume chi compie un’azione che giudica insufficiente, oppure chi ha pensieri che definisce non corretti, perché questo significa mettere al centro e dare valore a colui che, giudicandosi imperfetto, si mette “in cammino” verso la perfezione.
Ogni uomo, nel cercare di evolvere e di trasformarsi, si appropria sempre di quel che gli è utile per dare importanza al proprio centro di identità e anche valore al cammino verso la propria evoluzione e verso il ricongiungimento col Divino. E perfino abbracciando la via della Conoscenza l’uomo si dà importanza, in quanto è proprio lui a tentare di raggiungere e di conquistare il sogno della realtà non-mente.
Questo mette in evidenza che il Divino, chiamato in campo nei vostri processi interiori, è sempre complementare ai traguardi che vi prefiggete, perché comunque l’importanza viene data a voi che percorrete la strada verso il ricongiungimento. Il Divino è lì per suggerirvi le direttive di come trasformarvi e per intervenire a ogni possibile inciampo. Ed è proprio questa associazione fra uomo e Divino a dominare nel vostro concetto di dono, di eccedenza, di gratuità e di “azione” divina.
Ciclo gratuità della Via della conoscenza
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Nel testo si evince un dualismo da parte dell’uomo tra mano e divino. Il divino, dice Soggetto è considerato complementare dall uomo, per raggiungere la sua consapevolezza spirituale. Invece l’uomo è interno al divino.
Grazie