Da: Il libro di François, Cerchio Firenze 77. Quando fosse conseguita la coscienza cosmica, dice l’insegnamento, si passerebbe alla coscienza assoluta. Come potrebbe colui che avesse fatto l’esperienza di un solo cosmo (essendo ormai automaticamente e consapevolmente nell’Assoluto) avere in sé quelle di tutti gli altri cosmi, senza averle fatte?
È per Io stesso principio della comunione dei sentire. Se ciascun essere dovesse avere tutti i sentire che costituiscono il cosmo senza passare attraverso le comunioni dei sentire non gli sarebbe mai possibile raggiungere la coscienza cosmica.
Solo attraverso la comunione si può raggiungere, ciascuno per propria parte, dando origine a un nuovo stato di coscienza, la totalità dei sentire esistenti. Sentire di A e sentire di B, entrando in comunione, si riassumono nel sentire di C, il quale è comprensivo dell’uno e dell’altro. Ed è comprensivo di A e di B nella maniera più vera, attraverso l’identificazione, la comunione; che è poi l’unica maniera di avere un rapporto reale.
Tutte le altre modalità di avere rapporti fra gli individui si fondano solo sull’apparenza. La realtà di un rapporto è solo nel fondersi di «sentire equipollenti». Non è più una questione di apparenza. Mentre nel mondo della percezione l’unica relazione possibile è quella che si fonda su ciò che appare. Per questo diciamo che, nel mondo dell’apparenza, non possiamo sapere niente degli altri, perché di loro vediamo solo ciò che appare e non ciò che è, mentre proprio attraverso la comunione del tuo sentire con quello dell’altro tu sai tutto di lui e lui sa tutto di te perché tu «diventi» lui, come lui «diventa» te.
Un «sentire» da che cosa è limitato?
Come si può limitare un sentire? Lo dicono i maestri: «solo sentendo di essere limitato». Solo in quel modo. Hanno fatto l’esempio dell’uomo che si pone di fronte allo specchio. Poniamo un uomo che non si sia mai visto in uno specchio: quell’uomo non sa niente su come sia fatto, quale sia il suo viso, quali siano le sue proporzioni, i suoi colori. Eccolo che si pone di fronte a uno specchio e, in tal modo, si vede e quindi si scopre, si conosce, può dichiararsi a se stesso esistente con quelle forme che vede specchiate. E l’immagine riflessa dallo specchio è, in un certo senso, l’ambiente esteriore, ciò di esteriore che gli permette – unico modo – di conoscersi, di vedersi, di identificare la propria esistenza in quelle forme che vede specchiate. Ma quelle forme specchiate vengono da sé, per come è fatto, per ciò che è, per i connotati, le forme, i limiti che ha in sé.
Come le immagini dello specchio, le situazioni del mondo della percezione sono limitate perché sono una proiezione di un sentire limitato, e viceversa; è una cosa e l’altra. È come se questo sentire, col manifestare una limitazione attraverso il mondo della percezione, riuscisse a vedere se stesso. È proprio cosi che funziona. Il sentire può limitarsi solo sentendo di essere limitato, e di conseguenza creando un dato mondo con quella data forma di limitazione. […]
La duplice funzione del sentire: creazione-consapevolezza
Il discorso della duplice funzione del sentire è quello della creazione e della percezione, o consapevolezza. La creazione avviene nel momento stesso (momento non come tempo, ricordate sempre, ma come fase logicamente successiva), nel momento stesso in cui un sentire è virtualmente frazionato: è!
Tutto è creato nello stesso istante e non c’è sfumatura, non c’è successione logica in questo, ma simultaneità. Nella percezione (o consapevolezza), invece, c’è l’altra fase, c’è un momento non temporale ma logicamente successivo, che fa parte di una fase successiva. E come lo specchio: porsi di fronte allo specchio e vedersi è la creazione, il vedere le proprie limitazioni è la percezione (rendersi conto, rendersi consapevoli). «Virtuale frazionamento» significa anche creazione dei mondi della percezione.
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Ancora sulle limitazioni del sentire. Perché il sentire è «virtualmente» limitato?
Il mondo del sentire è difficile da spiegarsi; deve essere provato, e una volta esposto il principio generale si tratta di riuscire più a «sentire» che a capire. […] Abbiamo detto che la limitazione del sentire sta proprio nel sentirsi di essere limitato. Ma non è un sentire oggettivamente limitato, chiuso in sé; la limitazione non è reale, è solo virtuale: è un sentire di essere cosi, ma non esserlo realmente.
Se i sentire fossero oggettivamente limitati, chiusi in se stessi, sarebbe la frantumazione dell’Assoluto, ogni frammento per conto suo, e invece, essendo le limitazioni virtuali, questa frantumazione non esiste, ma esiste piuttosto l’unione-comunione-trascendenza del TuttoUno, in virtù della quale l’Assoluto ha in sé tutti i sentire relativi, ognuno dei quali «sente» di essere chiuso, finito in se stesso.
Facciamo un esempio. E come se ogni essere avesse sugli occhi una sorta di lente magica, per cui vede attorno a sé un mondo con certe sue forme e certi colori; e siccome gli esseri sono diversi ma hanno tutti la stessa lente, allora tutti si trovano d’accordo nel dire che esistono quelle forme, che esistono quei colori. Però, il mondo appare in virtù di queste lenti; è con queste lenti che gli uomini possono indagare, frugare, trovare strumenti per vedere quella che essi credono sia la realtà […].
Allora scoprono le nuove particelle subatomiche, e tantissime altre cose, che non sono errate – voglio precisare – in quanto fanno parte del mondo creato dalle lenti; ma questo mondo oggettivamente non esiste perché, se si tolgono le lenti, sparisce tutto, rimane la materia divina indifferenziata.
Questo è il discorso delle limitazioni e del sentire. Ma non c’è un momento in cui il sentire dice: «adesso comincia la limitazione». È li, cosi, sempre, nell’eterno presente, nell’infinita presenza. Non si può quindi fare altro che vedere il sentire assoluto composto da una molteplicità di sentire relativi, i quali non sono oggettivamente relativi, ma lo sono virtualmente: cioè il sentire sente di essere limitato pur non essendolo.
Se si pensa a queste cose in termini di «divenire», non si riuscirà mai a comprendere. Bisogna capire che l’evoluzione, l’ampliamento del sentire, è una irrealtà, un’apparenza, appartiene al mondo del divenire; e per questo, in un certo senso, ci è più familiare e comprensibile. L’errore è già nel vedere il sentire che da assoluto diventa sentire relativo. Non c’è questa successione divenente.
L’unica figurazione che possiamo fare è questo immenso oceano di sentire che tutto insieme è sentire assoluto, il quale è costituito virtualmente da sentire relativi. Nel momento in cui da tutto l’insieme del sentire assoluto tu scendi a vedere come è costituito, già fuoriesci dall’Assoluto e, quindi, puoi trovare solo il sentire relativo, ma un sentire relativo che non è oggettivo: è virtuale.
Come prima dicevo, l’uomo, avendo per sua naturale limitazione quelle lenti magiche, riesce a trasformare la divina sostanza indifferenziata in un mondo – mondo fisico, mondo astrale, mondo mentale – con tutte le sue leggi, i suoi eventi, e cosi via. Si, è una sorta di lente magica, di lanterna magica.
Allora scoprono le nuove particelle subatomiche, e tantissime altre cose, che non sono errate – voglio precisare – in quanto fanno parte del mondo creato dalle lenti; ma questo mondo oggettivamente non esiste perché, se si tolgono le lenti, sparisce tutto, rimane la materia divina indifferenziata.
Questa frase mi risuona molto. Mi suona come un invito ad abbandonare l’analisi e l’interpretazione dei fatti, delle cose che ci accadono e del perché ci accadono.
Non è in fondo un flash sul concetto di gratuità?
Da fare sedimentare… grazie.
Senza le lenti magiche, non avremmo mai preso coscienza, nel divenire, del sentire relativo né avremmo saputo del Sentire Assoluto.