[Traduzione Mazzocchi-Forzani] Qual è dunque il significato di fondo dell’espressione del Venerato del mondo: «Il tutto è il tutto che vive, ogni cosa che è, è natura autentica»? È indicato dalla domanda che mette in movimento la ricerca della verità: «Questo che cosa è che viene così?»[6].
Ogni cosa che è, una per una, dice il tutto che vive. Nell’adesso della verità, l’interno e l’esterno del tutto che vive è ogni cosa che è della natura autentica. Ciò non è solo trasmettere pelle, carne, ossa, midollo; ma è anche che tu diviene io che è pelle, carne, ossa, midollo.[7]
[→uma] Il curatore qui non aggiunge altro, attende che sia pubblicato il commento di Jiso Forzani (il26.8), poi tenterà una sintesi. Intanto il lettore, pur non comprendendo, può familiarizzare con il testo. [/uma]
[6] […] Il maestro zen Nangaku Daie si recò in visita al sesto patriarca Daikan Eno. Il patriarca domandò: «Da dove vieni?» Nangaku rispose: «Vengo dal monastero del monte Suzan, dove vive il maestro nazionale Ean (Huian 582-709)». Il patriarca chiese: «Questo che cosa è che viene così?» Nangaku sul momento non rispose, ma non dimenticò più la domanda. Restò otto anni presso il patriarca, continuando la propria vita di pratica nel monastero, e un giorno il dialogo riprese. Disse: «Quando sono giunto qui la prima volta mi hai chiesto che cosa è che viene così. Ora vorrei dirti come lo comprendo». Il patriarca chiese: «Come lo comprendi?» Nangaku disse: «Se indico una cosa non colpisco il bersaglio, anche se so dare delle spiegazioni». Il patriarca insistette: «Ma allora, esistono pratica e risveglio?» Nangaku disse: «Esistono, ma non li dobbiamo contaminare». Il patriarca allora esclamò: «Non contaminare (fuzenna)! Io davvero sono questo, tu davvero sei questo! E così sono i Budda e Patriarchi del passato!».
[→uma] Il Tollini (riferimenti nei prossimi post) dice: “Chi è costui che viene così?” è diventata una tipica frase per indicare la percezione immediata della realtà così com’è. Nel Sentiero diremmo: la percezione del Ciò-che-È. [/uma]
[7] L’espressione pelle, carne, ossa, midollo si riferisce alle parole che la tradizione attribuisce a Bodidarma, con le quali dichiarò di lasciare in eredità a ciascuno dei suoi quattro discepoli principali rispettivamente la propria pelle, la propria carne, le proprie ossa e il proprio midollo. Bodidarma chiamò a se prima di morire i quattro discepoli chiedendo a uno a uno di esprimere la loro comprensione del suo insegnamento. Dofuku rispose: «La via compie la sua funzione senza dipendere, né allontanarsi dalle scritture». Il maestro disse: «Tu, ricevi la mia pelle». La monaca Soji rispose: «L’occhiata alla terra del Budda si dà una volta sola». Il maestro le disse: «Tu, ricevi la mia carne». Doiku rispose: «I quattro grandi elementi sono vuoti, i cinque aggregati non hanno consistenza. Nessun conseguimento è possibile». Il maestro disse: «Tu, ricevi le mie ossa». Eka in silenzio semplicemente si inchinò rispettosamente. Il maestro disse: «Tu ricevi il mio midollo» (Dentoroku 3). Comunemente viene interpretato che soltanto Eka aveva compreso l’insegnamento, ma Doghen in questo testo indica che ognuno a modo suo aveva recepito e trasmesso pienamente la via in forme differenti. Anche la pelle è elemento fondamentale dell’intero corpo, non più e non meno della carne, delle ossa o del midollo.
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
Mi colpisce la storia che la narrazione attribuisce a Bodidarma e il credere che un elemento, possa essere più importante di altri.
Ogni cosa che è, una per una, dice il tutto che vive.
“Ogni cosa che è, è natura autentica”, è natura di Budda.
Ogni cosa è natura dell’Essere. L’Essere permea ogni cosa..
Per questo ogni cosa non è disgiunta:”questo non è trasmettere pelle, midollo, sangue e ossa”, è essere la stessa pelle, lo stesso sangue, lo stesso midollo, le stesse ossa.
“Ogni cosa che è, una per una, dice il tutto che vive”.
L’assassino come il santo sono il tutto che vive; ogni cosa che è testimonia, a suo modo, questa totalità. Se anche un filo d’erba manca nella totalità il “tutto che vive” muore.