Una voce: Nel mondo che vi circonda è ovunque presente l’eccedenza, che resta inaccessibile ai vostri tentativi di interpretarla. La presenza del Divino nel relativo è nel frammento concluso in sé e nella sua non-estensione.
Ma nella via interiore, l’uomo si dice che per progredire ha bisogno di un’azione eccedente la propria azione. Questo fa sì che lui si dia importanza, pur continuando a sottolineare la sua insufficienza, non comprendendo che tutto è già compiuto in sé e che ogni uomo è semplicemente un campo attraversato.
Nella vita nulla è importante come pensate: non l’azione da compiere oppure compiuta, che appare e si esaurisce, lasciando posto ad altro, e non l’agire per creare o appropriarsi di ciò che c’è da sempre, poiché c’è semplicemente da riconoscere ciò che non ha appartenenza. Questo perché, pur essendoci l’azione umana, quello che voi attivate o danneggiate è non-rilevante, essendo voi un ristretto campo nella vastità del campo della vita.
E allora, che cosa resta dell’immagine di un Divino senza più il compito di compensare l’azione umana attraverso la Sua “azione” che, come un panno, cancella le macchie che l’uomo crea quando imprime se stesso nelle trame della vita? Tutta la via interiore presenta il fraintendimento di definire il Divino a partire da come l’uomo giudica le azioni, i pensieri e le emozioni che si attribuisce.
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Nella via della Conoscenza, l’uomo si predispone a morire a se stesso, cioè al proprio protagonismo, e a essere spettatore di ciò che può sorprenderlo in quanto si impone. In lui sorge la domanda: “Poiché ogni frammento si apre e si chiude, già concluso in sé, quindi non-consistente, allora che cos’è veramente la vita e chi sono io nella vita?”.
Partecipante: Ma il frammento è concluso in sé.
Una voce: Il frammento è parte di altro.
Partecipante: Vorrebbe dire che va unito ad altro?
Una voce: No. Quando si parla di frammento c’è già altro. Il frammento non è il tutto, è una parte.
Partecipante: In sé è tutto.
Una voce: Non puoi dire che un frammento è tutto ciò che c’è. Lo è in quel momento, ma nel momento successivo c’è un diverso frammento, e quindi ciascun frammento non esaurisce la totalità. L’attimo, concluso in sé, non esaurisce la totalità del tempo. Il frammento è chiuso in un tempo: è tutto ciò che c’è in quel momento, ma è parzialità. Non si può davvero dire che il Divino appare nel frammento e scompare nel frammento essendo non-forma, però è possibile dire che l’uomo vive frammento dopo frammento, vivendo il presente. Non facciamo confusione fra ciò che è forma e ciò che è non-forma. Ma l’uomo che si domanda: “Se qualcuno vive il presente momento dopo momento, vive anche il Divino a flash?”, lì inizia a percepire altro.
Partecipante: Ho capito, lui percepisce la pausa.
Una voce: Quella pausa che si separa dal movimento. È una stasi che si stacca dal moto e che non si percepisce né con l’intelletto e né con lo sguardo. Il frammento dopo frammento parla di ciò che porta al non-frammento, e mantenendo l’attenzione fissa su ciò che sorge e tramonta si viene consegnati all’ignoto. Un ignoto che non è possibile afferrare e dominare, poiché si impone. Oltre quel sorgere e il tramontare, non governabile e compiuto in sé, c’è uno sfondo che lascia intravedere che, oltre il tempo del divenire, ha sede il mistero come unica, vera forza agente di tutto ciò che nasce e muore.
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“Il frammento dopo frammento parla di ciò che porta al non-frammento, e mantenendo l’attenzione fissa su ciò che sorge e tramonta si viene consegnati all’ignoto”
Il Frammento, diremmo il fatto in sé, apre alla totalità intensa come sentire. La totalità non può essere percepita ma solo sentita
Da tornarci su.
Questa volta mi pare complesso!
Da ruminare e rileggere….