Essere unità

Non perseguire l’unità per realizzarla, esserla.
Il perseguirla per realizzarla, per poterla sentire e infine esserla, è un moto naturale, tutto nel divenire conduce a quel fine, ogni legge del cosmo, ogni fatto ed esperienza.

Perché allora parlo di non perseguirla? Perché il farlo, il moto del perseguire, ci sprofonda in uno scopo e dunque nell’illusione propria di tutto il divenire che ci fa cogliere la superficie dell’Essere, non la sua essenza. Tutta l’esperienza conduce a essere unità, tutto il divenire lì conduce, eppure è errato focalizzarsi sul perseguire pur essendo ineluttabile la focalizzazione stessa.

Focalizzarci sul perseguimento dell’unità ci scaraventa nel tempo, l’assenza di focalizzazione ci costringe a vedere più a fondo il presente senza tempo nel quale siamo immersi: è nel presente senza tempo che l’Unità-già-è.

È nell’adesso senza tempo e senza scopo – che si interseca con l’adesso come punto di una sequenza che diviene – che sta il segreto: sentire Essere e divenire come simultanei; percepire, sentire in sé l’Unità-che-è e il processo che illusoriamente a essa conduce.

Vivere tra il tempo e il non tempo, sentire il divenire che scorre e la sua matrice eterna e senza tempo, l’Essere. Ripeto: sentire il divenire e la sua matrice d’Essere simultaneamente.

È possibile questo? Questo è il Sentiero e la sua comunità monastica, questo viviamo in vario grado.
Non un presente che ci condurrà alla meta, ma un presente che “è” la meta allo stesso modo di come a essa conduce.

Questa condizione di simultaneità si realizza sprofondando nel sentire, non c’è altra via: quello di cui sto parlando altro non è che la vita e la Via percepiti dall’interno del sentire di coscienza.

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